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Mostra su la visita di Papa Pio IX a Firenze e in Toscana del 1857

Edizione del: 8 giugno 2001

IL CARDINALE MAFFI QUADRO DEGLI SCOLOPI DI FIRENZE

LA VISITA DI PAPA PIO IX

A FIRENZE E IN TOSCANA

NELL’AGOSTO 1857

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Note Storiche
del
Giornalista Vaticanista Franco Mariani
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PREMESSA

 “Il Sommo Gerarca della Chiesa, il continuatore della gloriosa ed indefettibil serie dei Romani Pontefici, l’immortale, l’angelico Pio IX è finalmente in mezzo a noi, fra le mura della bella Firenze, e nella capitale della gentile Toscana. Chi non sentesi il cuore inondato di gioja, l’animo ripieno di ineffabile contentezza al faustissimo avvenimento? O giorno felice in cui è dato di potere ammirare ed ossequiare il venerando Pontefice”.

Cosi le cronache del tempo annunciavano la visita di Papa Pio IX, il Pontefice Capo Spirituale della Chiesa Cattolica Romana, ma anche il Papa Re, Sovrano dello Stato Pontificio.

Una visita, quella di Papa Mastai Ferretti, iniziata il 6 maggio 1857, principalmente per le provincie dello Stato Pontificio e poi in alcuni Stati confinanti.

Una cosa è certa, mai si vide tanta concordia di popoli nel festeggiare devotamente il Capo della Chiesa.

La mattina di quel 6 maggio, mentre il Papa lasciava la sua residenza romana del Quirinale, da Firenze, per fargli omaggio a Perugia, partiva l’Arciduca Carlo, secondo figlio del Granduca Leopoldo II, col suo cavaliere di compagnia, Francesco Arrighi, e il Principe Don Andrea Corsini, Gran Ciambellano della Corte.

Quando il Pontefice giunse a Bologna, il 27 maggio, il Granduca Leopoldo II, con la Granduchessa Maria Antonia e gli Arciduchi Ferdinando e Carlo, si recò a “presentare  i suoi ossequi”, facendo ritorno a Firenze il giorno 30.

In occasione di questa visita di cortesia, Pio IX accettò, ufficialmente, di buon animo, l’invito a visitare la Toscana.

   VERSO LA TOSCANA

La mattina del 17 agosto, alle ore 6, la corte pontificia partiva da Bologna per giungere alle Filagare, ove era situato il confine tra i due Stati, alle ore 11,30.

Ad attendere Pio IX al confine tra lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana, secondo il rigido cerimoniale c’erano, l’Internunzio Alessandro Franchi, Arcivescovo di Tessalonica, gli Arciduchi con i loro Aiutanti, Tenenti Medici e Selvatici, il Soprintendente della Poste, Marchese Girolamo Ballati Nerli.

Mentre il Pontefice si disponeva ad entrare nel territorio toscano con la sua imponente scorta di cavalleria, il Sottotenente delle Guardie di Finanza, Jacopo Merlini, offriva al Pontefice un suo sonetto.

Per rendere ancor più solenne il passaggio del Vicario di Cristo in Terra, Mons. Filippe Bestoni, Vicario Capitolare della Diocesi Fiorentina, vacante, il Papa infatti avrebbe durante questa visita consacrato anche il nuovo Arcivescovo di Firenze, aveva disposto, con pubblico avviso, che tutte le chiese al passaggio dell’Augusto Pontefice, suonassero a distesa le proprie campane, mentre i Parroci dovevano accorrere con i propri fedeli a rendere omaggio al Vicario di Cristo in terra.

La prima sosta Papa Giovanni Maria Mastai Ferretti la fece a Covigliaio, dopo altre due ore di cammino in salita passando per Pietramala, dove, per chi arriva in Toscana, era la prima posta per i cavalli.

Qui dette la sua prima Benedizione Apostolica alla numerosa moltitudine di folla che lo attendeva, accompagnata dalle note della Società Filarmonica di Scarperia;  lasciò anche una generosa offerta per la chiesa che in quel luogo si stava costruendo.

La successiva tappa fu al Passo della Futa, dove valicando l’Appennino si entra nel Mugello.

Alla vicina parrocchia di Santa Lucia allo Stale l’attendevano il Parroco, il popolo e la locale Compagnia.

Dopo i soliti convenevoli il corteo proseguì il suo viaggio verso Firenze, scendendo giù per Monte Carelli.

 LA NOTTE A VILLA “LE MASCHERE”

Alle tre del pomeriggio il corteo giunse alla villa dei Marchesi Gerini, detta “Le Maschere”, dove ad attenderlo c’era il Granduca e la Granduchessa con uno stuolo di nobili signori.

Sceso dalla carrozza Pio IX, dopo aver ricevuto il tradizionale omaggio del bacio del piede da parte del Granduca, ed averlo abbracciato affettuosamente, entrò nella cappella della villa fiancheggiato dai Sergenti di Palazzo.

All’ingresso della Cappella, dalle mani del Vicario Capitolare, ricevette l’aspersorio, per benedire se stesso e i presenti,  andandosi poi ad inginocchiarsi ai piedi dell’altare per ricevere dal Parroco la benedizione col SS.mo Sacramento.

Terminata l’adorazione, si affacciò dalla loggia della villa per benedire i tanti fedeli devotamente accorsi a rendere omaggio al Vicario di Cristo in terra.

Nel tardo pomeriggio, a causa del lungo e faticoso viaggio, le strade erano quelle che erano e il viaggio in carrozza con un numeroso corteo al seguito allungava di molto il tempo necessario a una cosi difficile traversata per monti e valli, iniziò il pranzo, semplice, senza fronzoli, tanto che il Papa era senza baldacchino e senza suppedaneo, come avrebbe richiesto il cerimoniale pontificio, al quale vi parteciparono, allo stesso tavolo del Papa, la Famiglia Reale e al Tavolo di Stato, come si chiamava all’epoca la mensa dove erano ammessi coloro che avevano il privilegio di mangiare col Sommo Pontefice,  36 cortigiani, sotto lo sguardo vigile del Maggiordomo Maggiore  che faceva le veci del Gran Ciambellano, impedito.

Terminato il pranzo, attorno alle sei e un quarto del pomeriggio, Pio IX nominò il giovane Arciduca Ferdinando, Principe Ereditario, Cavaliere dell’Ordine di Gran Croce.

Terminato il breve rito della consegna delle insegne cavallerizze, mentre la Famiglia Reale tornava a Firenze, il Papa scese in giardino per una breve passeggiata.

Man mano che passavano i minuti una gran folla cominciò a stringere il Santo Padre per rendergli devoto e filiale omaggio di figli, mettendo a serio pericolo l’incolumità del Papa.

I nobili addetti alla sua sicurezza cercarono quindi di portarlo in salvo dentro la villa, suscitando però l’ira della folla che gridava: “Il Vicario di Gesù Cristo è qui tra noi, e noi cel lasceremo involare senza pur baciargli il piede ?”.

La gran folla che nel frattempo era andata aumentando a dismisura, “costrinse”, molto amorevolmente, Pio IX ad affacciarsi dal balcone della villa per dare una seconda Benedizione Apostolica, allietata dal sottofondo musicale della banda di Barberino di Mugello che continuò a suonare per tutta la sera nello splendido parco appositamente illuminato con suggestive fiaccole e da una innovativa scenografia che rappresentava l’Immacolata Concezione e l’interno delle Basiliche di San Pietro e di San Paolo a Roma.

Solo alle ore 22 Pio IX poté ritirarsi nelle sue stanze per riposare.

    VERSO FIRENZE

La mattina dopo, 18 agosto, il Papa scese in cappella alle nove e un quarto per celebrare la Santa Messa, al termine della quale ascoltò devotamente quella celebrata del suo cappellano.

Alle dieci, dopo aver salutato i Gerini, che lo avevano ospitato, partì alla volta di Firenze.

Al corteo papale si aggiunse il Marchese Carlo Gerini che, nella sua veste di Cavallerizzo Maggiore del Granduca, aveva il compito di scortare il Papa fino al suo solenne ingresso in Firenze.

In località Rischieti Pio IX fu omaggiato dal parroco e dalla locale Compagnia presente col suo Gonfalone.

A Vaglia e alla Lastra le locali popolazioni omaggiarono il Pontefice erigendo addirittura degli archi trionfali.

Quando il corteo papale giunse alla villa reale di Pratolino, il Papa trovò, grazie al lavoro del direttore della villa, Giuseppe Frietsch, otto colonne con festoni e corone di lauro e alloro, tempestate di fiori, sopra le quali si trovava un arco di trionfo con un ritratto del Pontefice con al lato due iscrizioni: “A Pio Nono P. M. che di sua presenza allegra l’Etruria nel gaudio universale fedeli inchinatevi”, e l’altra, “O Supremo Pastore sull’umile gregge diffonda la tua mano di sue benedizioni i tesori celesti”.

Qui fin dalle sette del mattino ad attendere l’Augusto Pontefice c’erano: dodici parrocchie con le rispettive Compagnie, i religiosi del vicino Santuario Mariano di Montesenario, i Servi di Maria, e la banda di Scarperia, che andò incontro al Pontefice, quando questi scese dalla carrozza per benedire questa festante folla.

Verso mezzogiorno e un quarto il corteo papale giunse a Villa Guicciardini, presso “La Pietra”, a Montughi, alle porte di Firenze.

Il viale della villa era tutto ornato con bandiere pontificie e del granducato, con fronde di olivo, lauro e spighe di grano, intrecciate con passi di scrittura, mentre un padiglione, con le insegne pontificie e del sacerdozio, era stato allestito all’inizio del giardino.

Al quartiere che avrebbe ospitato il Papa e il suo seguito si entrava passando sotto una tenda a cupola di “vaghissimo effetto”, come riportarono le cronache dei giornali dell’epoca.

In un vicino prato era stato sistemato un quadro raffigurante l’Immacolata Concezione, cinto da tutte le bandiere delle nazioni cattoliche.

Dopo un breve riposo Pio IX pranzò con il Granduca, gli Arciduchi e col suo seguito di nobili signori.

 LA CITTA’ DI FIRENZE

In quei giorni la popolazione di Firenze era raddoppiata tanto da renderne, se non impossibile, almeno difficile la circolazione.

Per l’occasione il Municipio avevano ordinato, nei giorni precedenti, alcuni lavori in via Cavour.

Alcune case furono demolite assieme all’Oratorio di San Rocco, in via San Gallo, dal quale fu staccato un antico crocifisso dipinto a fresco, che fu collocato poco distante, nelle mura delle città, con una lapide a ricordo dell’evento: “Regnante Leopoldo II Granduca di Toscana quando nell’agosto dell’anno 1857 Pio Nono Pontefice O. M. santificava di sua presenza la città questa dipinta immagine colla parete qui trasferivavi a cura e spese del Municipio dai resti dello spedale contiguo alla chiesucola che fu di San Rocco affinchè di luoghi per ragione di pubblica comodità demoliti una sacra memoria durasse inera agli occhi ed alla venerazione dei posteri”.

Tuttavia il crocifisso nemmeno in questa nuova sede ebbe fortuna perché qualche anno più tardi, quando il Poggi demolì le mura cittadine per i lavori della nuova Firenze, capitale del Regno d’Italia, il crocifisso fu tolto e collocato nell’antico refettorio di Santa Croce.

  L’INGRESSO NELLA CITTA’ DEL GIGLIO

Alle quattro del pomeriggio, di quel torrido 18 agosto 1857, due colpi di cannone annunciarono la partenza dalla villa del Pontefice che cosi si apprestava a fare il suo ingresso solenne a Firenze.

A quel segnale tutte le campane di Firenze per mezz’ora suonarono a distesa.

Il cerimoniale dell’accoglienza del Pontefice dette adito a lunghe discussioni e riunioni tra l’Internunzio Franchi ed il Marchese Scipione Barbagli, Ministro residente presso la Santa Sede, in rappresentanza del Papa, e il Gran Ciambellano, il Maggiordomo ed il Cavallerizzo Maggiore in rappresentanza del Granduca.

Su tutti gravavano le mancanze di cui fu oggetto Pio VII quando passò da Firenze, cosicché il rappresentante del Papa voleva dare alla cerimonia un carattere religioso, mentre il Granduca voleva una sfarzosa cerimonia civile.

Ecco cosa registrarono le cronache dell’epoca per mano del Priore dei Santissimi Apostoli don Giovan Battista Ristori: “Presidente dei Ministri era Giovanni Baldasseroni, animatore del partito, chiamiamolo pure regalista, che non voleva col Papa altro che lo stretto rigore delle convenienze, come chiaramente apparisce da alcune sue lettere al Granduca. Del partito opposto era sostenitore il Franchi e forse era ispirato da lui un progetto presentato al Governo dall’Arciprete Emilio Bardini a nome del Vicario Capitolare, secondo il quale avrebbero dovuto muovere incontro al Papa tutto il Clero secolare e regolare, le Compagnie e tutti coloro, che avevan luogo nella processione del Corpus Domini. Osservarono le civili autorità che, secondo le leggi allora vigenti, per condur fuori simili processioni occorreva preventivo permesso del Ministero degli Affari Ecclesiastici, che molti del clero, specialmente regolare, non erano favorevoli che il “passaggio del Papa fra le cappe e le tonache avrebbe avuto forse qualche cosa di singolare e che l’umor faceto dei Fiorentini potrebbe esser facile a volger in scherzo quel che da tutti si vuol trattato con ossequio e reverenza”, aggiungendo che la popolazione cominciava a fare epigrammi e di uno ingiuriosissimo al Sovrano resta sempre memoria.

L’Arciprete senza nulla ripetere, aderì a queste osservazioni ed il progetto fu lasciato cadere.Cosi rimase senza effetto la petizione che in questi giorni presentarono i Vescovi toscani al Granduca, perché stipulasse col Papa un pieno concordato”.

Altro problema di non poco conto da risolvere fu il posto che doveva tenere il Granduca nel ricevimento del Papa, come ci testimoniano sempre le cronache del Ristori: “voleva il cerimoniale proposto dal Governo che quegli entrasse in Firenze accompagnato da due cardinali o da due prelati, mons. Maggiordomo e mons. Maestro di Camera, e che il Granduca e gli Arciduchi lo attendessero in fondo alla prima scala del palazzo, mentre l’Internunzio chiedeva che dovendo il Papa star solo, lo seguisse il Granduca dalla villa Guicciardini dietro la carrozza papale. Da una lettera del Gran Ciambellano al Granduca si arguisce che gli argomenti che indussero a trovare un temperamento grato alle due parti, furono l’essersi saputo che al Papa dispiaceva moltissimo che il Granduca non lo accompagnasse e che eragli di gran dolore che si “volessero seguire piuttosto i dettami della pretta etichetta, anzichè quelli di una maggiore effusione e cordialità”. Per queste ragioni, all’ultim’ora si convenne che il Papa avrebbe fatto il suo ingresso solenne con il Granduca alla sua sinistra, avendo scritto il Franchi, la sera del 17 agosto dalle Maschere “Il S. Padre non solo ha approvato che il Granduca vada in carrozza alla sua sinistra, ma posso assicurarla che questo è stato il suo primo pensiero”.

Il racconto dell’ingresso ci è ampiamente descritto dal solerte Monsignor Ristori: “Quando il corteggio si mosse dalla villa Guicciardini per entrare in Firenze lo apriva un distaccamento di Cavalleria, la banda dei Veliti e due battistrada. Venivano poi le carrozze dei due Ciamberlani addetti al servizio del Pontefice Principe, don Ferdinando Strozzi, Duca di Bagnolo e Conte Ugolino della Gherardesca, e del Gran Ciamberlano e Cavallerizzo Maggiore e degli Arciduchi. Il crocifero papale, a cavallo, precedeva la carrozza di gala ove erano il Papa ed il Granduca fiancheggiata agli sportelli da un Maggiore e da un Capitano delle Guardie nobili, le quali seguivano la carrozza. Tenevano dietro le carrozze del seguito pontificio e lo Stato Maggiore a cavallo, mentre  un distaccamento di Cavalleria chiudeva il corteggio. Erano al seguito del Papa i Monsignori Borromeo Maggiordomo, Pacca Maestro di Camera, Berardi Sostituto della Segreteria di Stato, Ferrari Prefetto delle Cerimonie, Hohenlohe, De Merode, Stella e Talbot Camerieri Segreti, Cenni Caudatario, Balzani Cappellano d’Onore, Segretario del Maggiordomo, il Comm. Sabbatini e il Cav. Napoli Minutanti nella Segreteria di Stato, il prof. Carpi medico, il Cav. Spagna Maestro di Casa e Cavalier Bertazzoli, Foriere. Questi ultimi tre abitarono nello stabile Magherini sulla piazza de’ Pitti, mentre i primi ebbero, secondo il loro grado, alloggio nel palazzo di residenza. Accompagnavano pure il Pontefice l’Aiutante di Camera Nesti, gli Scopatori Segreti Bifani, Minoccheri e Zangolini, i Credenzieri Segreti Saracini, Mascelli e Costantini col Decano Traversari.

Al suon festivo delle campane si erano aggiunti centun colpi di cannone, quando il nobile accompagnamento traversando il Parterre, passava sotto l’arco trionfale di San Gallo per entrare in Firenze.

Tanto nel Parterre che nell’emiciclo della porta erano stati, a cura dello Scrittoio delle Reali Possessioni eretti alcuni palchi, ai quali si accedeva per mezzo di biglietti speciali.

Il Municipio di Firenze, nel quale risiedevano il Marchese Cav. balì Edoardo Dufor Bertè, Gonfaloniere e il Cav. Gio Batta Rosselli Del Turco, Cav. Gualtiero Kennedy Lawrie, Cav. cons. Giuseppe Martelli, Teodoro Del Campana, Dott. Luca Piccioli, Marchese Cav. Giovanni Guasconi, Francesco Soldi e Cav. dott. Lorenzo Gargiolli, in abito di cerimonia, accompagnati dal Cancelliere Ministro del Censo Pietro Manci, si recava nell’atrio della porta a San Gallo, ove era già il Comm. Francesco Petri Prefetto della città e compartimento di Firenze, dalla parte destra, mentre dalla sinistra erano gli ufficiali componenti il Comando della Piazza.

Quivi soffermatosi alquanto la carrozza il Gonfaloniere prendendo la parola ossequiosamente esprimeva: “La città tutta essere in gioia pel desiderato arrivo della Santità Sua, il Municipio genuflesso dividerne appieno il contento ed esser lietissimo di aver l’alto onore di poter esserne all’augusta Santità Sua interprete fedele”.

Il Santo Padre si compiacque benignamente replicare, che era penentrato dall’accoglienza, che gli veniva preparata dal Municipio fiorentino, vedere con piacere i suoi componenti riceverlo al suo ingresso in città, saperne buon grado ad essi e particolarmente al Gonfaloniere, invocare dal Cielo ogni prosperità sulla Popolazione, sul Municipio ed in specie sul Gonfaloniere  e quindi impartita l’apostolica benedizione il S. Padre col suo nobile corteggio riprese il cammino.

La presenza del Prefetto della città fu voluta dal Baldasseroni, che vedeva di mal’ochio, come apparisce dalle sue lettere al Granduca, che il Municipio ricevesse il Pontefice sulla porta della città.

Transitando Via Cavour e via Martelli il corteo giunse al Duomo.

Qui lo attendevano sulla porta gli Arcivescovi e Vescovi della Toscana, i Capitoli del Duomo e di San Lorenzo ed i Parroci della città e del suburbio. Entrava il Papa ed il Granduca mentre si cantava l’antifona “Ecce Sacerdos magnus” e si dava, dopo il canto del “Tantum ergo”, la benedizione col Sacramento precedentemente esposto, e quindi per le vie dei Cerretani, Rondinelli, Tornabuoni, Ponte a Santa Trinità, via Maggio e Sdrucciolo de’ Pitti giungeva al Palazzo.

Lungo la prima scala facevano ala i Ministri in uniforme, i Consiglieri di Stato, i Ciamberlani ed i Cappellani di Corte, sul primo ripiano delle scale erano le Granduchesse, la Principessa ereditaria e la Contessa di Trapani, e sulle seconde scale le dame di Corte, in abito nero, col velo e gioie”.

Il Papa prese possesso di tutto il primo piano del quartiere nobile, che allora era chiamato il quartiere delle Stoffe, adorno in modo speciale con drappi e arazzi; nella gran sala era stato eretto il trono, mentre nella stanza particolare del Pontefice il baldacchino.

All’interno dell’appartamento del Papa erano stati sistemati vari oggetti, tra cui alcuni candelieri di Benvenuto Cellini, un bel crocifisso di arte antica e lumiere dorate di finissimo intaglio.

Il letto, modellato sul gusto del diciassettesimo secolo, aveva una coltre di finissimo raso bianco profilata ai lembi da frange e tocca d’oro.

Dopo pochi minuti, come prevedeva il programma predisposto dal Vicario Capitolare, il Pontefice da un baldacchino di velluto rosso dava, dalla finestra centrale di Palazzo Pitti, l’Apostolica Benedizione alla moltitudine che gremiva la Piazza, mentre numerose bande suonavano l’Inno Pontificio.

Cosi un giornalista dell’epoca scrisse nel suo articolo: “Oh ! si godi, ti allieta o Firenze ché più bel giorno da lungo tempo non trovasi registrato nelle tue istorie. Quella fede che è la più grande delle tue glorie, vive, tuttora giovane e robusta nel petto dei tuoi figli, né potranno sradicarnela i turpi ed inefficaci sforzi dei tuoi nemici”.

Tutte le case di Firenze erano illuminate a festa, rischiarando la notte fiorentina del Romano Pontefice.

Il Municipio aveva fatto apporre dei trasparenti alle finestre che con la luce facevano scoprire frasi di giubilo: “Che il Padre venisse alla città del Battista fu consiglio di Amore – Per lui che è Pio maggiore è la fede usa ai trionfi – Gli utili trovati promuove e al coronato camauro cresce decoro – Discuopre Roma che fu sicché rivivono spente generazioni – Fatti suoi gli altrui dolori si rivela Pontefice e Re – Benedicendo al magnanimo che il ricettò la Patria esulta”.

I Padri Scolopi, che ebbero a Volterra il giovane Giovanni Maria Mastai Ferretti, futuro Pio IX, loro scolaro, sulla porta del loro convento di via Martelli esposero un baldacchino sormontato dal triregno con un busto del Papa e una iscrizione, mentre in piazza San Lorenzo predisposero per cinque ore, per opera del Padre Filippo Cecchi, una speciale illuminazione elettrica.

Pio IX, assieme al Granduca, verso le nove di sera uscì da Palazzo Pitti per girare in carrozza tutta la città e vedere le speciali luminarie e le tantissime iscrizioni apposte su case, chiese, palazzi, ponti.

  LA GIORNATA DEL 19 AGOSTO

Alle ore 10 Pio IX ricevette i Cavalieri di Santo Stefano vestiti in cappa magna, dicendo loro che “poiché non potevano più esercitare i doveri imposti dalle costituzioni dell’Ordine, esercitassero quelli che loro ricordava il segno glorioso, che portavano sul petto”,  e il Corpo Diplomatico accreditato presso il Granducato di Toscana.

L’udienza ai Cavalieri di Santo Stefano, guidati dal Conte Ugolino della Gherardesca, Cavaliere Priore Luogotenente e Capo dell’Assemblea, rimane ancor oggi un’udienza particolare per la speciale formula, usata dal Pontefice per la prima volta, nell’impartire l’Apostolica Benedizione: “In nome del Padre onnipotente che ci creò, in nome del Figliuolo sapienza eterna che ci riscattò col suo sangue, in nome dello Spirito Santo amore ineffabile che in dolce vincolo di carità ci rannoda, io benedico a voi qui presenti, alle vostre famiglie, alla Toscana tutta; anzi a tutti quanti sono gli Stati cattolici ed i fedeli sparsi pel mondo”.

Terminate le udienze Pio IX uscì in carrozza per visitare, assieme alla Granduchessa, all’Arciduchessa e alla Contessa di Trapani, i Monasteri della Quiete, fuori città e  quelli cittadini  in via della Scala, di Ripoli e della Santissima Annunziata, finendo con una visita culturale alla Galleria Palatina.

Al rientro in Palazzo, alle due del pomeriggio, pranzò con i Principi e le Principesse Reali.

Nel pomeriggio, con il Granduca e il Conte di Trapani, visitò l’Opificio delle Pietre Dure e la Basilica di San Lorenzo.

Fuori programma decise di visitare il convento delle Cappuccine.

Alle 20,30 nella gran sala di ricevimento di Palazzo Pitti ricevette in udienza tutte le pubbliche autorità, che vestivano l’abito da cerimonia, e molti Parroci.

Al termine dell’udienza si ritirò nei propri appartamenti.

LA GIORNATA DEL 20 AGOSTO

il 20 agosto, Pio IX celebrò la Messa all’altare maggiore della Basilica della Santissima Annunziata, usando un calice che aveva donato al Santuario qualche anno prima, come atto d’omaggio e devozione alla Madonna, dando personalmente la comunione  ai soci della San Vincenzo de’ Paoli e a molti fedeli che volevano ricevere l’Eucarestia dal Vicario di Cristo in terra, ascoltando successivamente, in forma privata, assieme alla Famiglia Reale, la messa nella cappella della Santissima Annunziata dove la veneranda immagine, che all’epoca era solitamente coperta da un drappo che veniva abbassato solo in occasione di alcune solennità religiose, venne appositamente scoperta per il Papa.

Più tardi, nel Salone dei Cinquecento, in Palazzo Vecchio, in ottemperanza a quanto deliberato il 4 luglio 1857 dal Municipio di Firenze che voleva omaggiare musicalmente il Vicario di Cristo, assisté, con la Famiglia Reale, a “L’Oratorio di Giuseppe Ebreo”, trilogia del Raimondi, eseguita contemporaneamente da tre orchestre, per un totale di settecento persone tra musici e cantori, rispettivamente dirette da Teodulo Mabellini, Alamanno Biagi e Luigi Vannuccini, in un tripudio di velluti rossi e frange e nappe d’oro che ornavano tutta la maestosa ed imponente sala.

Dopo pranzo Pio IX visitò le Scuole Pie degli Scolopi, Santa Felicita, i conventi delle religiose di San Girolamo, di San Giorgio sulla Costa, di San Felice e le Terziarie Francescane di Borgognissanti.

Questo il discorso di saluto pronunciato dal Padre Superiore degli Scolopi Ricci all’ex studente delle loro scuole in Volterra: “Beatissimo Padre, Nel vedervi, o Beatissimo Padre, correre bella parte dell’Italia accolto dovunque ad applausi di popolo e seguitato dalle più sincere benedizioni, si che il vostro, meglio che un viaggio, debba chiamarsi trionfo, a ragione i buoni cattolici, ciascuno come di una sua contentezza, si rallegrano in cuore. (….) si rallegrano perché non sia disconosciuta la maggioranza di un Principe, il quale per le doti del grado sacerdotale e per la maniera stesa dell’elezione, resterà sempre in saviezza e dottrina a tutti gli altri di sopra.(…..) Ragion per cui sovente parliamo nelle scuole dell’obbedienza ai santi Pontefici, celebriamo il Papato come gloria singolarissima concessa dalla divina Provvidenza al mondo e segnatamente all’Italia, non restandoci di confutare le calunnie grandi, come grande è l’obbietto da assalire, scagliategli incontro; fin tanto che sarà ascoltata con rispetto la voce dell’Apostolico, perire al tutto la rettitudine e la pietà sulla terra.(…..) Ed è bello allora vedere i nostri discepoli dipinti in viso di maraviglia nell’udirvi proposto a loro modello, e tornare alle famiglie narrando la storia della loro gioventù, e dire e ridire dell’antica Volterra e di quel Collegio, cui rendete a cosi larga usura la gloria avuta quivi nella giovinezza, ai loro racconti aggiungendo, senza addarsene, tutte le idee che si suscitano in fanciulli a figurarsi un fanciullo alla dignità Pontificale disegnato. Adunque non fa maraviglia che quando la speranza della vostra venuta in Firenze fu resa certezza, non fosse agevole a discenersi subito se più ne esultassero i maestri o gli alunni: tanto l’esultazione negli uni e negli altri era somma ! Subito però ci occorse alla mente l’idea di darvene una pubblica attestazione come da noi richiedeva il dovere e da parte dei nostri giovinetti la non finta allegrezza, che si voleva con qualche straordinaria mostra secondare. Ma quando ponemmo la mente al come appagare questo desiderio, allora sentimmo, più che altre volte mai, la nostra meschinità e la solenne altezza del vostro grado.

Pensavamo di accogliervi con grande onore. Ma quale onore si può far grande a Colui, che le più cospicue città dell’Italia avevan gareggiato nel ricevere con la maggior festa ? a Colui che solamente col suo mostrarsi reca un onore cosi splendissimo, da dover incider nei marmi e tramandare ai futuri la memoria ? Bramano presentarvi di qualche dono; ma qual degno presente posson dare uomini, come noi, di piccolo essere e privati, a chi siede Principe e Rettore di un ampio stato ? perciò non avendo noi né onoranza né donativo pari o meno indegno della vostra dignità sommissima per il triregno e la corona, ci parve coll’ingegno, a cui educare nei nostri alunni ci travagliamo, e che è nell’uomo la più nobile facoltà, come quella che non si vende né si compra, solennizare la vostra venuta e chiedere a lui le significanze dell’affetto, del quale anche un Pontefice ed un Sovrano ha bisogno. (…) Beatissimo Padre, la provvidenza che governa e dirige cosi i grandi come i piccoli avvenimenti, vi pose in mente il disegno di mostrarvi ai cattolici fuori di Roma, mentre da pochi ingegni da piangersi si intonava l’inno funebre alle cattoliche idee, e senza la potenza di colui che parlava in Betania si gridava in Italia alla rinnuovata filosofia che venisse fuori. Beatissimo Padre, i popoli col senso naturale e coll’amore all’avita fede, che si può dire in essi veramente ingenito, hanno compreso tutta l’importanza del vostro viaggio: in ogni borgo, in ogni villata si è conosciuto che giungendo voi giungeva ben più che un sovrano. I Toscani sopra tutti han mostrati di riconoscere nel Romano Pontefice non solo il gran Prete, ma eziandio il gran Padre delle loro grandezze e della loro storia. Era giusto che noi i quali abbiamo tanta parte nell’istruzione in Toscana, non ci nascondessimo, ma partecipando secondo la religiosa modestia ai comuni applausi, apparissimo di mente e di cuori Toscani; e poiché non  ci era dato dimostrare al Pontefice come le nostre siano Scuole, dessimo almeno una prova a Pio del come elle sian piee. Beatissimo Padre, facile cosa è a chiunque superare colla magnificenza un dimesso sodalizio come il nostro; pur vi accertiamo che né pompe di terre e di comuni, né accoglimenti di principi, né altissimi evviva di popoli nel vostro passaggio possono essere più sinceri del poverissimo, ingenuo e reverente tributo dei Padri e degli alunni Calasanziani”.

Rientrato a Palazzo, Papa Pio IX riceveva le Guardie del Corpo, gli Ufficiali dei Sergenti di Palazzo, presentategli dal facente funzione di Aiutante Generale, lo Stato Maggiore militare, la Nobiltà, la Segreteria intima, presentata dal Granduca, l’Anticamera, la Real Casa e le Reali Scuderie, presentate rispettivamente dal Gran Ciambellano, dal Maggiordomo Maggiore e dal Cavallerizzo Maggiore, quindi i Cavalieri del Santo Sepolcro, la Società di San Giovanni, quella per la diffusione dei buoni libri, la Compagnia delle Stimate ed altri gruppi.

  FIRENZE, PRATO, PISTOIA

Il 21 agosto, alle ore nove di mattina, in Piazza Pitti riceveva l’omaggio dello Stato Maggiore, di quattro battaglioni di Fanteria, di due squadroni di Cavalleria, di due batterie di Artiglieria da piazza, di Gendarmi a piedi e a cavallo, del Liceo Arciduca Ferdinando e del Collegio dei figli dei militari accompagnati da cinque bande.

Dopo la benedizione, impartita dalla finestra centrale del Palazzo, partiva con il Granduca, dalla stazione Leopolda, a Porta a Prato, con un treno speciale, alla volta delle città di Pistoia e Prato.

Al suo rientro a Firenze, dopo pranzo, visitò l’Arcispedale di Santa Maria Nuova, dove lo attendeva il Granduca con il Ministro dell’Interno ed il Commissario dello Spedale.

Nel tardo pomeriggio si recò invece in visita  alla chiesa di San Jacopo sopr’Arno per ricevere gli omaggi dei Padri della Missione e delle Dame di San Vincenzo de’ Paoli.

Di tale discorso esiste, a differenza di altri, un testo scritto giunto fino ai giorni nostri: “Voi tutte qui riunite, dedicate vi siete alle opere della carità: or bene, la prima virtù che deve accompagnare la carità è la pazienza; e si che l’avete dovuta esercitare questa sera essendomi io fatto tanto aspettare. Avete fatto conoscere che l’avete e che siete ben atte a praticare questa virtù, la quale per altro è necessaria in tutte le cose di questo mondo. Pazienza ci vuole nel sopportare le avversità della vita; pazienza per andare alla visita degl’infermi, per andare nelle case de’ poveri, onde vincere le ripugnanze talvolta ancora della natura e per sormontare gli ostacoli che s’incontrano a fare il bene. Sicché preparatevi a molta pazienza, la quale possiamo dire che sia inseparabil compagna della carità, e che non vi è carità senza pazienza: Charitas patiens est.

Io dunque sono venuto qui in mezzo a voi per darvi l’Apostolica Benedizione, e di tutto cuore ve la darò: ma prima vi voglio dir due parole.

Molti sono i modi di esercitare la carità: coll’elemosina, coll’educare i figli de’ poveri, colle visite agli spedali, alle famiglie indigenti, al letto dei poveri infermi si esercita la carità. Quest’ultimo è quello da voi prescelto, e a cui principalmente vi dedicate. Io ho avuta in questi giorni la consolazione di vedere molte religiose femmine dedicate alle opere di carità, altre occupate ad assistere gli ammalati negli spedali, altre dedite ad educare cristianamente i fanciulli poveri, altre nei reclusori, altre fra i carcerati; si vede da questo che il Signore vuole con ciò che è debole confondere ciò che è forte, e per mezzo del sesso debole confondere ciò che è forte, e per mezzo del sesso debole umiliare l’orgoglio degli uomini, i quali sogliono credersi soli capaci di opere utili e grandi. Grande può essere l’opera vostra, massime in questi tempi, perché ovunque pur troppo s’aggira il nemico comune sul globo terraqueo; ed ora sotto il titolo di filantropia, ora sotto quello di amico del popolo; col pretesto di rendere felici i popoli, non altro cerca che di strappar loro dal cuore l’unica vera felicità che è la Fede: si, vuol far comparire nemica della felicità temporale la nostra Santissima Religione.

Tale idea che pur troppo vi avverrà d’incontrare, vi esorto caldamente a combattere. Per poco che abbiano senno, tutti oggi la stimano la Religione; e voi troverete per tutto, forse nelle vostre stesse famiglie, persone, le quali diranno, che stimano la Religione, che amano la Religione; ma poi non la mettono in pratica questa Religione. Vi diranno che la Religione è l’unico mezzo di alleviare i mali, e sanare le piaghe della società, che la Religione è l’unico conforto nelle tribolazioni; ma quando siamo al porla in pratica, spesso dimenticano ciò che avean detto. Coraggio, dunque, ecco la vostra missione: siate degne di quella Santa Cattolica Religione che professate, della dottrina di Gesù Cristo. Cercate di custodire la Fede, di ravvivarla ove la troviate languente, d’insegnarla a qui che la ignorano. Insegnatela nelle vostre famiglie, insegnatela ai vostri figli, insegnatela nelle case dei poveri, soprattutto insegnatela coll’esempio, e fate di rendere l’opera vostra proficua alle anime di coloro che andate a soccorrere, e di unire quanto più vi sia possibile i cuori nel grembo della Santa Religione. Si, andate a visitare gl’infermi, ma ricordatevi, che per rendere l’opera vostra degna della benedizione di Dio, bisogna che all’elemosina della mano sia congiunta la limosina della mente e del cuore. Non vi contentate della semplice elemosina, ma abbiate parole di conforto, di compassione, di consiglio, e allora vi riuscirà di tornare a pace il marito, a retta via la consorte, a vita cristiana i figliuoli………..

Dove poi vi ritroviate, che la Fede sia spenta o vacilli; allora voi, non bastando, rivolgetevi a qualche distinto Ecclesiastico, il quale acceso di carità e di sapienza fornito, illuminar possa la mente e scaldare il cuore de’ vostri poveri, di corpo infermi, e più ancora infermi dell’anima.

Vi benedica ora Iddio, come io nel suo nome vi benedico: benedica voi e i vostri compagni, benedica i vostri figli, benedica le vostre famiglie, benedica le vostre case; e porti questa benedizione nelle vostre case la pace, la concordia, l’unione, tutte le virtù, la felicità. Vi benedica il Padre, e colla sua potenza vi dia fortezza per vincere tutte le contrarietà e gli ostacoli che incontrerete nella pratica delle virtù e per non mancare ai vostri santi doveri ed impegni. Vi benedica il Figlio, e vi dia un raggio della sua sapienza per saper difendere la Religione, per aver parole di consiglio, e di verità, da poter guadagnare delle anime e ridurre  i traviati al buon sentiero. Vi benedica lo Spirito Santo, e vi doni, v’ispiri, v’infonda una scintilla della divina sua carità che accresca la vostra, e ognor più aumentandola, la renda sempre più operosa ed efficace. Voi avete nelle vostre mani tutti i momenti della vostra vita: sta a voi trafficarli riempiendoli di buone opere, ed occupandoli alla salute vostra ed a quella dei poveri.

Oh ! quale immensa consolazione sarà per voi quando vi troverete sul letto di morte, al momento di proferire quelle parole: “In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum”, poter soggiungere colla più grande fiducia: Signore ricevete quest’anima, la quale si affaticò a salvare delle anime, e la quale, per vostra grazia, si (questo s’intende è misericordia di Dio se si riesce a salvar qualche anima), ma anche colle sue fatiche condusse a voi quelle anime da voi redente e a lei affidate”.

Al rientro del Pontefice in Palazzo Pitti, verso le otto e mezzo di sera, quattro bande militari, accompagnate da trecento soldati, ciascuno dei quali portava un torcetto acceso, eseguirono, sotto le finestre del Palazzo, musica fino alle dieci di sera.

  LA POSA DELLA PRIMA PIETRA
DELLA NUOVA FACCIATA
DELLA BASILICA DI SANTA CROCE

La mattina del 22 agosto Pio IX poneva la prima pietra della facciata della Basilica di Santa Croce nell’omonima piazza cittadina.

Il sagrato della Basilica in Piazza Santa Croce era tutto addobbato per la solenne funzione.

Il pavimento era ricoperto da un gran tappeto verde, dinanzi al trono papale sorgeva un altare sul quale furono riposti gli oggetti e i paramenti necessari al Papa per la cerimonia.

Pio IX giunse alle dieci e mezzo, ricevuto dalla Commissione incaricata di scegliere la facciata e sovrintendere ai lavori.

Dopo aver recitato all’altare alcune preghiere Pio IX, accompagnato dalla Famiglia Granducale al gran completo, andò a sedersi sul trono papale.

Qui il cerimoniere gli porse un libro dal quale recitò alcune preghiere, poi, avuta una cassetta di piombo sigillata, la collocò nel fondo della prima pietra femmina, percorrendo con un punteruolo le sei croci della pietra maschio, che doveva andare a sovrapporsi a questa e che era sostenuta dall’architetto vincitore del concorso per la facciata, Matas.

Preso il bacino d’argento, Papa Giovanni Maria Mastai Ferretti fece l’impasto d’acqua, scagliola e gesso e con la cazzuola d’argento ne gettò poco nelle connettiture della pietra, a questo punto l’architetto imbracò la pietra e aiutato dal Presidente della Commissione, la agganciò alla fune che pendeva sopra la buca e tenendola lui e il Pontefice, insieme la calarono in fondo, seguita dalla benedizione del  Papa, che scoprì anche una targa ricordo dell’importante avvenimento.

Terminato il suggestivo rito, all’interno della Basilica, nella sacrestia, ammise al bacio del piede i Religiosi Conventuali e i professori del Liceo fiorentino.

Quindi nella vicina cappella de’ Pazzi, situata nel chiostro di Santa Croce, benedì la Società degli Asili infantili presenti con circa 500 bambini, che accolsero il Papa con esultanti canti, donando a ciascuno di essi un pane e una medaglia con un cordone celeste che lo raffigurava.

Seguirono le visite al Monastero di Santa Maria Maddalena in Borgo Pinti, dove si trovavano anche le confinanti suore di San Silvestro e del Conservatorio degli Angiolini, agli Uffizi, alla Biblioteca Magliabechiana, e all’Archivio di Stato dove apponeva la sua firma sul registro con la scritta : “Pio IX servus servorum Dei”.

Dopo il pranzo, con il Granduca e gli Arciduchi, presso la Chiesa di San Giovannino de’ Cavalieri, ricevette l’Istituto tecnico di via San Gallo, assieme al Ministro alla Pubblica Istruzione e ai soci dell’Accademia di Arti e Mestieri.

Alla sera, dopo aver visitato il Granduca nei suoi appartamenti, riceveva i Capi di Guardia della venerabile compagnia della Misericordia dal quale si congedava con le parole “Misericordias Domini in aeternun cantabo”.

  LA CONSACRAZIONE DEL NUOVO ARCIVESCOVO
DI FIRENZE E DI ALTRI TRE VESCOVI TOSCANI

La mattina del 24 agosto, nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, consacrò vescovi, per sua mano, cosa abbastanza inusuale per l’epoca, Giovacchino Limberti, nuovo Arcivescovo di Firenze, Giovacchino Antonielli, Vescovo di Fiesole, Giuseppe Targioni, Vescovo di Volterra, Antonio Paoletti Vescovo di Montepulciano.

Ecco come Monsignor Ristori ha fissato su carta quei momenti: “Per tal solenne cerimonia furon nelle cappelle laterali del duomo eretti alcuni palchi e scalini per lasciar liberi il coro ai personaggi che dovevan prender parte alla funzione.

Si accedeva dalla porta di via dei Servi a quello della cappella della S. Croce, nel quale prese posto il Granduca con la Real Famiglia, le Cariche di Corte, ed i personaggi  dei loro seguiti.

Sopra l’Altar Maggiore, secondo l’uso romano ardevano sei grossi ceri dipinti ed alla destra di quello s’alzava il trono papale, al quale stavano di fronte i Camerieri Segreti di Spada e Cappa ed i due Ciamberlani Principe Strozzi e Conte della Gherardesca, addetti alla persona del Papa durante il soggiorno in Toscana. Negli stalli de’ Canonici al lato del trono era il Cardinale Viale Prelà Arcivescovo di Bologna ed i Vescovi della Toscana e dall’altro i Cappellani della Real Corte nell’abito di Camerieri Segreti. Assisterono il Pontefice Alessandro Franchi Arcivescovo di Tessalonica ed Internunzio in Toscana, e Giulio Arrigoni Arcivescovo di Lucca  e diresse la  solenne funzione, alla quale era pure presente Monsignor Borromeo Maggiordomo Maggiore, Monsignor Ferrari, Prefetto delle Cerimonie.

A render più solenne la festa fu stabilito che la Cappella di Corte cantasse il “Veni Creator”, due antifone ed il “Te Deum” scegliendone uno di corta durata. Ogni rimanente fu in canto fermo, eseguito dai cantori del Duomo che non meno dei professori della cappella si fecero ammirare per la loro bravura e per il bel modo di cantare”.

Ogni dettaglio della cerimonia ci è stata tramandata minuziosamente dalle cronache pontificie: “Il primo atto fu la professione di fede ed il giuramento prestato sui santi Evangelii nelle mano del Papa da Monsignore Eletto della Chiesa di Firenze, e successivamente ratificato dagli altri tre Eletti. Quindi si venne all’esame, che è un prolisso interrogatorio sopra gli uffizi episcopali e sopra i domini della credenza cattolica, diretto a conoscere se l’Eletto sia disposto a compiere i suoi doveri e a sentire ed insegnare rettamente. Il Papa leggeva dal Pontificale in chiare note e distintissime le singole interrogazioni, e gli Eletti, piegando alla loro volta il ginocchio, rispondevano per ordine di volere, di credere, di anatematizzare conforme al soggetto dell’inchiesta. Durante l’esame il Pontefice sedeva nel faldistorio, collocato nel mezzo dell’Altare, e sui loro scranni sedevano pure i Vescovi assistenti, mentre gli Eletti si stavano in piedi di contro al Papa, vestiti di Piviale alla maniera dei sacerdoti ed a capo scoperto per riverenza al Sommo Pontefice. Conchiuso poi questo, e fatta da tutti la confessione della Messa, gli Eletti deposero il piviale e, potresi i lembi della stola alla maniera dei Vescovi, si vestirono la tonacella e la dalmatica, la pianeta e il manipolo, e cosi parati ne andarono di conserva al loro altare per leggervi l’introito e le collette, l’epistola e il graduale. Appresso recaronsi di nuovo innanzi al Papa che fe loro una breve ammonizione intorno ai doveri del grado ch’erano per assumere, e poi sorgendo invitò tutti gli astanti a pregare sopra quegli Eletti dalla divina Maestà la larghezza delle sue grazie.

A quell’invito tutti caddero a ginocchia, gli Eletti si prostesero bocconi sul suolo e cominciaronsi le Litanie Maggiori. Avresti detto che la Maestà divina che tutto riempiva quel luogo si vedesse cogli occhi e colle mani si toccasse, tanto era il senso che quella universale adorazione te ne dava ! Quando poi si venne alla rogazione sugli Eletti, ed il Pontefice levatosi in piedi, tre volte li segnò e tre volte supplicò al Signore che si degnasse benedirli, santificarli, e consacrarli, tutti furono compresi da un cotal orrore di profondissima riverenza che la penna non vale a descrivere.

Eppur questi non erano che i preludii della grande azione. Poiché finite le Litanie e postosi il Pontefice di nuovo in Trono, gli Eletti recaronsi ad uno ad uno ai suoi piedi; ed egli, preso il libro degli Evangelii aperto, coll’aiuto dei Vescovi assistenti li pose a ciascheduno sugli omeri e sul collo, per modo che la scrittura inferiore della pagina sacra toccasse il loro capo. Quindi egli e i Vescovi assistenti insieme imposero sul loro capo ambe le mani, pronunziando ad un tempo le solenni parole sacramentali: “Accipe Spiritum Sanctum”.

Gli Eletti, ricevuto lo Spirito di Santità, rimaneansi quivi genuflessi e curvi sotto il peso degli Evangelii, bel simbolo dell’incarico soave insieme e terribile che venia loro imposto; quando il Pontefice, deposta la mitria, cominciava la solenne preghiera, supplicando il Signore a voler “versare sopra quei suoi servi tutta affatto la grazia e l’efficacia della benedizione sacerdotale; per rispetto a Gesù Cristo Signor nostro, e Figliuolo suo, il quale con lui vive e regna pei secoli eterni”.

E qui in tono di prefazione, fatto il saluto al popolo, invitavolo a sollevare al Signore il cuore e la mente ed a lui rendere grazie che fa l’onore di quanti sono grandi, nella sacra Gerarchia mancipati al suo servigio. Poi passava a far ricoro del prescritto da Dio a Mosè intorno agli ornamenti sacerdotali di Aronne, ed aprivane il senso mistico che diceva di alludere allo splendido ornato di cui l’anima del sacerdote deve esser bella. Perchè, proseguia supplicando, ch’egli volesse largire tanta grazia ai suoi Eletti che quanto in quei sacri velami, pel folgore dell’oro, per lo sfavillare delle gemme e per la ricca varietà dei recami venia figurato, tutto si vedesse espresso nei loro atti e nei loro costumi. Quindi con naturale passaggio facea dimanda che perfezionare volesse la dignità dei sacerdoti suoi per cotal guisa adorni, santiicandoli dell’unzione celeste.

E qui tutti di nuovo prostravansi a ginocchia, agli Eletti venia legato il capo con una lunga benda di lino mondissimo, ed il Papa imponeva il canto del “Veni Creator Spiritus”.

Mentre questo proseguivasi dal Coro, egli sorgea di nuovo, e colla mitria in capo sedutosi nel faldistorio ungea a chiaschedun Eletto il capo col sacro crisma e dava loro la pace. Finita l’unzione, egli in piedi proseguia collo stesso tono di prefazione il canto intramesso, pregando pure a grande istanza il Signore che quell’unguento dal capo, sul quale era sparso, fluisse in tutte le membra del corpo, ondeché la virtù dello Spirito di Dio di dentro li riempisse e li circondasse di fuori. E poi di questa virtù enumerava particolarmente gli effetti, pur supplicando Iddio a volerli tutti concedere loro. E con ciò chi può dire quante e quanto belle cose pe loro implorasse ? La costanza nella fede, la purità dell’amore, la sincerità della pace: l’ufficio di evangelizzare, il ministero della riconciliazione nelle parole, nei fatti, nella virtù dei prodigi, l’efficacia della predicazione. Nè ciò solo, ma supplicavalo a consegnar loro le chiavi del Regno de’ cieli; tantoché o legassero essi o sciogliessero, o rimettessero o ritenessero i peccati; al loro giudizio, pronunziato qui in terra, rispondesse la sentenza di Dio nel cielo. Quindi con tremenda esecrazione (l’ascoltino gli empi a terrore, i buoni a conforto) proseguia dicendo: “Qui maledixerit eis sit ille maledictus, et qui benedixerit eis benedictionibus repleatur”. E cosi via via ad altre particolarità discendendo, faceva prieghi che Iddio multiplicasse sopra di essi la benedizione e la grazia sua, affinché eglino fossero assidui nell’implorare ai loro popoli misericordia ed idonei ad ottenerla.

Dopo aver cosi pregato, il Pontefice imponea il canto dell’antifona mentre un altra lunga benda di lino candidissimo cingeasi al collo degli Eletti, ed il Pontefice ungea loro col santo Crisma le palme di ambe le mani, le quali essi richiudendo ponenano entro al pannolino che pendea loro dal collo. Quindi egli consegnava ciascuno i bacoli pastorali e ponea loro nel dito gli anelli episcopali che con tutti gli altri istromenti proprii del grado, per non allungare di troppo la cerimonia, eransi dianzi benedetti.

Da ultimo levato il libro degli Evangelii d’in sugli omeri ai Consecrati lo consegnava ad essi chiuso nelle mani, ingiungendo loro di predicarlo al popolo, e conchiuse coll’imprimere a ciascuno sulla gota il bacio di pace.

Allora finalmente fu consentito ai Consacranti di avanzarsi per ordine e di baciare il ginocchio del Pontefice sedente, che è atto solenne di ubbidienza, il quale ai soli Vescovi si avviene.

E per vero dire i Vescovi erano già fatti. Ciò che rimaneva del lungo rito spettava all’esercizio di quella potestà ch’erasi loro conferita. Di fatti essi si uniscono immantinente al Sommo Pontefice nell’azione essenzialmente pontificale del sacrificio, e consacrano insieme con lui il Corpo e il Sangue del Signore. Come poi si giunse alla consumazione delle specie, il Sommo Pontefice si comunicò col Corpo e sorbì parte del Sangue, e poscia comunicò senza altro dire i Vescovi che gli stavan dappreso prima col Corpo e quindi col Sangue dello stesso suo calice.

Finita poi la messa e data la solenne benedizione papale, recaronsi al Pontefice che sedeva sul faldistorio le mitre preziose, emblema di fortezza, figurate già in quella gloria che manifestatossi in Mosè, allorchè egli disceso dal monte, ex consortio sermonis Domini la sua faccia apparve cornuta; ed egli coll’aiuto dei Vescovi assistenti le pose in capo a ciascuno dei nuovi Vescovi. Il somigliante fece delle chiroteche, emblema della mondezza dell’uomo nuovo e della rettitudine di sue operazioni, simboleggiate in quelle piccole pelli di capretto di cui Giacobbe rivestissi il colle e le mani per carpire la benedizione paterna; e posciachè le ebbe adattate loro alle mano, ripose a chiascheduno in dito l’anello.

Ciò fatto il pontefice si levò del faldistorio e prese l’eletto Arcivescovo di Firenze per la man destra, Mons. Franchi lo prese per la sinistra ed entrambi lo insediarono in un altro faldistorio apparecchiato per lui e posergli in mano il bacolo pastorale. Dopo di lui, gli altri Vescovi per ordine furono insediati collo stesso rito, ed il Papa, riasceso all’altare e postosi in sul lato del Vangelo, impose il canto solenne del “Te Deum”, nel quale tutta quella vasta congregazione si unì a grande giubilo. Intanto i Vescovi assistenti menarono i nuovi Vescovi intorno alla chiesa a spargere benedizioni sul numeroso popolo quivi raccolto: e fu questo spettacolo tanto sublime e di tanta tenerezza ripieno, che tutti ne restarono commossi. Il Papa frattanto stavasi ritto in sul predetto lato dell’altare accompagnando col cuore i sublimi sensi dell’inno eucaristico e coll’occhio quei suoi figliuoli che esercitavano il potere ricevuto da lui; nel che manifesti furono i segni di sua commozione. Come poi i Vescovi furono ritornati ai loro faldistorii, egli cantò l’antifona e l’orazione sopra i nuovi Pontefici, e chiascheduno di essi, giusta il rito, diè al popolo dall’altare la solenne benedizione. Infine egli pose cogli assistenti dal corno dell’Evangelio, ed i Vescovi, venendo ad uno ad uno da quello dell’Epistola tre volte piegarono le ginocchia e tre volte gli pregarono lunghi anni di pontificato: all’ultima ciascheduno, mentre egli sorgeva, fu teneramente abbracciato prima dal Pontefice e poi dai Vescovi assistenti.

Intanto Mons. Del Magno, Uditore  di Rota, e come tale, Suddiacono Apotolico, vestito di tonacella si appressò all’altare, recando su di un bacino d’argento i sacri Pallii, e prese posto alla destra del Pontefice, il quale si era di  nuovo assiso sul faldistorio in mezzo all’altare. Allora l’eletto Arcivescovo di Firenze, condotto dai Vescovi assistenti si portò a’ piedi del Papa, e genuflesso fe colla formola usata la domanda di quel sacro indumento che, concesso ai solo Arcivescovi aventi giurisdizione o, per privilegio apostolico assai raro ad accordarsi, a qualche Vescovo o sedia Vescovile, è destinata rappresentare la pienezza dell’ufficio pastorale. Il Sommo Pontefice, annuendo all’inchiesta, prese nelle mani uno dei Pallii, ed assistito dal Suddiacono predetto, lo cinse al collo e lo impose agli omeri del supplicante, accompagnandolo quell’atto colle belle e commoventi parole della formula stabilita.

Poiché il Sommo Pontefice ebbe imposto il Sacro Pallio all’eletto Arcivescovo di Firenze, venne condotto innanzi a lui il Vescovo di Volterra e col medesimo rito ne fu adornato solennemente.

Compiuta la cerimonia della imposizione de’ Pallii, la messa venne conchiusa dal Papa e dai nuovi Vescovi coll’Evangelo della domenica corrente, dopo del quale i Vescovi al loro altare ed il Pontefice sul trono si spogliarono i sacri paramenti, e s’immersero nell’azione di grazie al Largitore di tutti i beni.

Il rito della Consacrazione dei Vescovi durò non meno di tre ore, le quali a quella vasta adunanza di fedeli spettatori, lungi dal parere prolisse sembrarono brevissime; tanto egli era cosa tutta di paradiso! Della nostra descrizione forse non potrà dirsi lo stesso; se ciò fosse, la colpa ascrivasi tutta a difetto di nostre parole, le quali non raggiungono l’altezza delle divine cose”.

Prosegue al riguardo il Ristori nella sua cronaca: “Al termine della funzione i fedeli si recarono a baciare, come tradizione, il trono su cui si era seduto il Vicario di Cristo.

Uscendo dal Capitolo, dove era stato preparato un rinfresco per lui, per i novelli vescovi e i Pastori delle varie diocesi toscane, Pio IX visitò la Basilica di San Giovanni dove erano esposte le reliquie del Santo, ricevuto dai soci della Società di San Giovanni Battista”.

Rientrato a Palazzo Pitti, dopo essersi affacciato per benedire il popolo che lo acclamava, si ritirò per il pranzo.

Nel pomeriggio il Papa scese nel giardino di Boboli, tra la folla che alla domenica poteva liberamente passeggiare per il sontuoso giardino.

Alla sera Papa Mastai rimase estasiato dallo splendido esperimento di luce elettrica che ai due lati del palazzo fu approntato sotto la direzione del Padre Cecchi, delle Scuole Pie, e del Cav. Corridi, direttore dell’Istituto Tecnico.

  LA PARTENZA PER LE ALTRE CITTA’ TOSCANE

La mattina del 24 agosto alle ore 9, salutato da centun colpi di cannone Pio IX lasciava Firenze alla volta di Pisa.

Facevano ala nello Sdrucciolo de’ Pitti, via Maggio, ponte Santa Trinità, Lungarno Corsini, Borgo Ognissanti, fino a Porta al Prato e quindi alla Stazione della Ferrovia Leopolda il battaglione di deposito e quello dei Veliti, mentre sul piazzale della porta era il Liceo Arciduca Ferdinando ed il Collegio dei figli dei Militari con la bande della Gendarmeria.

La carrozza del Papa, nel quale si trovavano anche il Granduca e alcuni membri della Famiglia Reale, era preceduta e seguita da un distaccamento di Cavalleria come scorta d’onore.

Alla stazione Leopolda, come al suo arrivo a Firenze presso la porta a San Gallo, il Magistrato civico si sistemò alla destra della porta principale della Stazione, mentre di fronte era lo Stato Maggiore Militare.

In una sala attrezzata per il ricevimento delle autorità Pio IX chiamò a se il Gonfaloniere dicendogli “che gli era stata gradita l’affettuosa e reverente ospitalità che gli aveva dato Firenze, della quale non si sarebbe mai dimenticato, che aveva ammirato l’indole pacifica e tranquilla della popolazione, che affluentissima in più circostanze non aveva eccitato il minimo inconveniente”.

Pio IX felicemente commosso per l’attestato tributatogli dai Fiorentini seduta stante decise di nominare il Gonfaloniere Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine di San Gregorio Magno.

Il “Giglio di Firenze” sul numero del 26 agosto del 1857 pubblicò questo anonimo pensiero: “O Santo ed Eletto Pontefice, cosi quivi, fu breve la tua dimora fra noi: fosti un sole che brillò per brev’ora. Ma la tua presenza ha fatto nei cuori dei fiorentini si profonda e si cara impressione, che ognuno l’avrà sempre innanzi agli occhi, in mezzo al cuore. I padri e le madri narreranno le tue virtù e la tua carità singolare ai figliuoli, e questi ai nepoti, sicchè eterna sarà quì la dolce e venerta tua memoria”.

Dopo Firenze, Prato e Pistoia Pio IX visitò le città di Pisa, Livorno, Lucca, Volterra, Siena, Chiusi, con brevi soste, seguite da omaggi della popolazione, nelle località di San Pierino, vicino Empoli, Pontedera, Camigliano, Castelfiorentino, Rapolano, Lucignano, Bettolle, Acquaviva,

Pio IX il 17 settembre 1857, in ricordo della sua visita fiorentina cosi scriveva al Granduca: “Altezza Imperiale e Reale, Le tante gentilezze da V. Altezza I. e R. e da tutta la Reale famiglia, nonché la bella e cordiale accoglienza colla quale il suo buon popolo Toscano ha ricevuto il Vicario di G. Cristo, Mi fanno violenza per manifestare la mia gratitudine, e per assicurare V. A. che non si cancelleranno dal mio cuore i giorni passati in Toscana, per la quale non lascio d’innalzare le mie preghiere al Signore affinché la preservi da ogni male felicitandola spiritualmente e temporalmente e La unisca sempre più a questa Santa Sede per mezzo di quelle determinazioni che V. A. sarà per prendere.Sento con gran gioia che S. A. il Principe ereditario sia ormai in convalescenza e lo benedico particolarmente. Riceva la benedizione Apostolica che di tutto cuore comparto a Lei, alla Granduchessa, all’augusta famiglia, e a tutti i sudditi.  Pius PP. IX”.

Il Granduca rispose con la seguente lettera: “Beatissimo Padre, Le parole affettuose e benevole, che la Santità Vostra, si è compiaciuta inviarmi con la lettera fattami pervenire per mezzo del suo Internunzio Mons. Franchi, sono gradite al mio cuore, perché mi hanno fatto nuovamente sicuro della soddisfazione da Lei provata nel recente Suo passaggio per la Toscana. Io non starò a ripetere quanto dolce sia stata per me l’accogliere Vostra Santità fra le mie mura, mentre l’animo mio desiderava non tanto onorare in lei il saggio Principe che m’avea teneramente confortato nei giorni dell’esilio, quanto di venerare colui che tiene in terra le veci di Gesù Cristo. Ringrazio la bontà sua della benedizione che si è degnato compartire al mio popolo la cui reverenza mostrata verso il Supremo Gerarca fu per me di somma consolazione e che conservo della di Lei persona e del fausto avvenimento devota ed affettuosa memoria; La ringrazio di quella data a me, alla mia famiglia, ed anche particolarmente al mio figlio maggiore, la salute del quale può dirsi perfettamente ristabilita ed assicuro infine la Santità Vostra che terrò conto dei Suoi amorevoli consigli. Con tali sentimenti Beatissimo Padre passo a ripetermi con sincera filiale venerazione”.

Mi sembra appropriato concludere queste mie note storiche con la seguente poesia del giovane alunno delle Scuole Pie Fiorentine, Cesare Paoli, pubblicata nel pregevole ed artistico volumetto preparato dai Padri Scolopi per ricordare la visita del Papa, assieme agli elaborati di molti studenti sul novello Beato della Chiesa Cattolica, un Papa, come ha detto Papa Giovanni Paolo II durante la cerimonia di Beatificazione, “tanto amato, ma anche tanto odiato”:

 Pietà di padre, onde il tuo core è pieno,

Te mosse, o Pio, dalle romane mura

A benedir per l’italo terreno

Quella greggia, che in te vive secura.

E qui pur dove bacia a Flora il seno

L’onda dell’Arno mio placida e pura,

Qui pur Tu sosti, e, quale il Nazzareno,

Chiami i fanciulli a te con dolce cura.

Oh come quella tua fronte serena,

E ‘l mite sguardo ci trasfonde in petto

Una dolcezza che non è terrena!

Oh come a lungo e fervido disio

Il tuo venir rispose! Oh benedetto

Quegli che viene nel nome di Dio !

Visita il sito ufficiale di Papa Pio IX

Le foto sono tratte dalla mostra “Gli oggetti di Papa Pio IX” curata dal Giornalista Vaticanista Franco Mariani nel giugno 2001 e raffigurano gli oggetti di proprietà dei vari Capitoli delle Cattedrali visitate da Pio IX, e di alcuni Istituti religiosi, usati da Papa Giovanni Maria Mastai Ferretti durante la visita a Firenze e in Toscana nell’agosto 1857.

LA MOSTRA E’ STATA ALLESTITA
A CURA DI
ASSOCIAZIONE FIRENZE PROMUOVE

©  Tutti i diritti sono riservati al Giornalista Franco Mariani

GIOVANNI MARIA MASTAI FERRETTI
PAPA PIO IX
BEATO DELLA CHIESA CATTOLICA

Il pontificato di Papa Pio IX fu un pontificato epocale: egli non permise di travolgere il patrimonio spirituale della Chiesa, affidato alla sua tutela.

Nell’ottocento nasceva e s’imponeva una diversa visione delle cose e dinanzi ad essa tremò, ma senza mai capitolare. Alla visione incentrata in Dio e della sua rivelazione tentava di sostituirsi quella incentrata nell’uomo, nella sua ragione, nella sua libertà e nei suoi diritti.

Giovanni Maria Mastai Ferretti nacque a Senigallia il 13 maggio 1792, nono figlio di Girolamo Benedetto Gaspare dei Conti Mastai Ferretti e di Antonia Caterina Maddalena Solazzi, del patriarcato locale.

Fu battezzato il giorno stesso della nascita col nome di Giovanni Maria Battista Pellegrino Isidoro, da uno zio, il canonico Angelo Mastai, successivamente vescovo di Pesaro.

Di delicata costituzione fisica, ma d’intelligenza sveglia e d’indole ottima, appena poté, andò a messa ogni giorno con la pia mamma. Rivelò presto la sua devozione eucaristica e mariana. Fu dedito alla pratica dei “fioretti”.

Ricevette la cresima il 6 giugno 1799 dal Vescovo di Senigallia B. Honorati, ed ammesso alla prima comunione nella Cappella della Madonna della Speranza, in Cattedrale il 2 febbraio 1803.

I1 20 ottobre di quello stesso anno entrò a Volterra, in Toscana, nel Collegio dei Nobili, retto dai Padri delle Scuole Pie, gli Scolopi, dove vi rimase fino al 26 settembre 1809, dando prova d’ingegno vivace e d’esemplare comportamento.

Nel 1809, al termine degli studi, lo zio, Paolino Mastai, Canonico Vaticano, l’accolse presso di sé per continuare, a Roma, gli studi superiori presso il Collegio Romano.

Il giovane Conte, a quell’epoca, non aveva dato ancora la sterzata decisiva alla sua vita in direzione del sacerdozio. Era ancora “in stato secolare”, come egli stesso s’esprime il 10 aprile 1810, quando, a conclusione d’un ritiro spirituale, gettò le basi di tutta la sua futura esistenza: “lotta al peccato, fuga da ogni occasione moralmente pericolosa, studio “non per l’ambizione del sapere” ma per il bene altrui, abbandono di sé nelle mani di Dio”.

Soffriva d’improvvisi attacchi che qualcuno considerò epilettici, anche se non si hanno prove sicure al riguardo. La cosa certa è che fu per questo costretto ad interrompere gli studi.

Nel 1812, la malattia gli ottenne 1’esonero dalla chiamata di leva nelle Guardie d’onore del Regno.

Chiese, invece, ed ottenne nel 1815 di far parte della Guardia Nobile Pontificia; ma a causa del suo male, fu presto congedato.

Fu tra i volontari che prestavano la loro opera educativo-didattica ai ragazzi del “Tata Giovanni”, un istituto dove prenderà poi dimora e che gli resterà caro per tutta la vita.

Nel 1816 ebbe una parentesi senigallese come catechista in una memorabile missione popolare. Poco dopo, nella Chiesa dell’Orazione e Morte, dove aveva appena finito di servire una messa, decise di abbracciare il sacerdozio.

Vesti l’abito talare, riprese gli studi, ed ebbe gli ordini minori il 5 gennaio 1817, il suddiaconato il 20 dicembre 1818, ed il diaconato il 6 marzo 1819.

Un mese dopo, il 10 aprile, per grazia personale di Papa Pio VII, venne ordinato prete, celebrando la sua prima messa con i suoi cari ragazzi del “Tata Giovanni”, nella Chiesa di Sant’Anna; nominato rettore di quell’istituto vi rimase fino al 1823.

Nel 1823 parve prendere concretezza il suo sogno segreto: farsi missionario.

I1 3 luglio lasciò “Tata Giovanni” per accompagnare in Cile il Nunzio Apostolico Mons. Giovanni Muzi, dove vi restò fin al 1825.

Per tale missione il Segretario di “Propaganda Fide” l’aveva così presentato: “E’ difficile ritrovare persone che riuniscano tutti i requisiti che s’incontrano in questo rispettabilissimo sacerdote. Pietà singolare e soda, dolcezza di carattere, prudenza ed avvedutezza non ordinarie, zelo grandissimo accompagnato dalla scienza che in lui bene si trova in abbondanza,…desiderio di servire Dio e di essere utile al prossimo per le missioni presso gli infedeli”.

La missione si rivelò più difficile del previsto e richiese soprattutto saggezza, prudenza e spirito di Fede.

Queste erano le doti del giovane Mastai, le uniche armi ch’egli impugnò per il bene della società cilena e l’onore di Dio.

Non era un diplomatico; non lo sarà mai in tutta la vita. Era un prete. E come tale si comportò anche in un contesto diplomatico come quello della missione cilena.

Sarebbe rimasto molto volentieri in quella terra, ormai da lui amata, ma Roma lo reclamò per altri e non meno delicati servizi. Obbedì serenamente.

Nel 1825 fu eletto preside dell’Ospizio Apostolico di San Michele.

A soli 35 anni, Leone XII, il 3 giugno 1827, lo nominò Arcivescovo, destinandolo all’Arcidiocesi di Spoleto.

Dopo Spoleto l’attendeva un’altra non facile diocesi: Imola, era il 22 dicembre 1832.

Otto anni più tardi, ad appena 48 anni, il 10 dicembre 1840, Gregorio XVI gli conferì 1’onore della porpora cardinalizia.

Il 1 giugno 1846 morì Gregorio XVI.

Due settimane dopo, il 14, cinquantadue cardinali si riunirono in conclave per eleggere il successore.

La sera del 16, il cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti era Papa con il nome di Pio IX. Rimarrà sul soglio di Pietro per 32 anni, dando vita al più lungo pontificato della Storia.

Il 16 luglio 1846, dimostrando per 1’ennesima volta il sentire cristiano che l’animava, promulgò l’amnistia per tutti detenuti politici.

Qualche mese più tardi, il 9 novembre, pubblicò la sua prima enciclica: “Qui pluribus”, un documento impressionante per la sua chiarezza, il suo realismo, la sua ampia visione degli incombenti pericoli e dei necessari rimedi.

Il 13 marzo 1847, concesse per decreto la libertà di stampa.

Tra i suoi primi atti di governo secolare: l’istituzione del Municipio, del Consiglio Comunale e della Consulta di Stato, rappresentativa di tutte le province, ed infine lo Statuto.

Pio IX si mostrò benevolo verso un’altra categoria di sudditi: gli Ebrei; questa sua generosa benevolenza si era già manifestata nei primi atti del suo governo: aveva abolito le umilianti cerimonie cui quelli soggiacevano, versando gli annui tributi alla Camera Apostolica, li soccorse con una somma di 300 scudi per i danni subiti dalla inondazione del Tevere, li ammise a godere delle elemosine pubbliche, oltre a far godere dei privilegi concessi alle famiglie numerose, anche gli Ebrei padri di dodici figli.

Al momento della istituzione della Guardia Civica gl’Israeliti vi furono ammessi.

Pio IX nominò una Commissione che esaminasse le condizioni igieniche del Ghetto, e questa decise di permettere agli Ebrei di abitare fuori di quell’orribile quartiere. Così, nella notte dal 17 al 18 aprile, venivano abbattute le mura e le porte del Ghetto. Il fatto venne lodato dalla stampa liberale, ma offerse agli altri il pretesto per suscitare le ire di una parte del popolo minuto, che verso gli Ebrei continuava a nutrire dei pregiudizi, e li considerava eretici, empi, nemici della religione cattolica e crocifissori di Gesù.

La guida della Chiesa universale e le gravi difficoltà politiche non impediscono a Pio IX di intuire l’insostituibile ruolo che nell’immediato futuro avrebbe avuto la rete ferrata nello sviluppo economico, sociale, culturale, politico delle nazioni.

Il 14 luglio 1846, non è passato un mese dalla sua elezione a Sommo Pontefice, affida ad una Commissione Tecnica lo studio e la progettazione di un’articolata rete ferroviaria per lo Stato Pontificio.

La ferrovia rappresentava in quegli anni una grande speranza di progresso e di miglioramento della vita sociale ed economica. La prima era stata costruita in Inghilterra nel 1830.

Anche nello Stato Pontificio i cittadini più illuminati avrebbero voluto costruire ferrovie, ma fino al 1846 Papa Gregorio XVI diffidò di questa novità; il suo Computista Generale, Cav. Angelo Galli, elencava nel 1846 cinque obiezioni sollevate dai Conservatori di allora:

  • la ferrovia accresce il pauperismo;
  • è di danno ai commercianti;
  • compromette la sicurezza degli Stati;
  • compromette la sicurezza interna;
  • facilita il contrabbando e l’introduzione di merci estere.

Nonostante questo, però, il Galli pubblicava, sempre nel 1846, un fascicolo nel quale esaminava tali obiezioni, le ribatteva una ad una e concludeva il suo coraggioso intervento affermando: “Le Ferrovie sono un progresso per la facilità e la rapidità delle comunicazioni e dei trasporti”.

Il 7 novembre 1846 uscì la Notificazione del Segretario di Stato, Cardinale Gizzi, che annunziava l’inizio dei lavori per tre linee:

  • Roma – Frascati; Roma – Velletri – Ceprano, confine col regno di Napoli. Tale linea fu detta “Pio Latina”.
  • Roma – Porto d’Anzio; Roma – Civitavecchia; Roma – Terni -Spoleto – Foligno – Ancona, detta “Pio Centrale”.
  • Ancona – Bologna e poi Bologna – Ferrara, fino al Po, confine dello Stato, detta “Pio Emilia”.

La linea Firenze – Roma fu oggetto di lunghe trattative, negoziazioni e convenzioni tra lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana, in quanto c’erano molte difficoltà naturali, economiche, politiche.

Una pubblicazione del Petitti del 1845 illustrava l’importanza storica, commerciale, turistica della linea Firenze – Roma – Napoli.

Da Firenze partirono le prime rotaie: si arrivò ad Empoli nel 1848, a Siena nel 1849, a Chiusi nel 1847 e a Orte – Roma il 10 marzo 1874

Un giornale francese del 1847 esaltava le direttive illuminate e “amiche del progresso” di questo Papa innovatore.

Il 15 novembre 1847 fu ucciso il Capo del Governo, Pellegrino Rossi; nove giorni dopo Pio IX si vide costretto a lasciare la sua Roma, rifugiandosi a Gaeta, dove giunse, il 9 febbraio 1849, la notizia della proclamazione della Repubblica Romana.

Il Vicario di Cristo in Terra poté rientrare a Roma solo il 12 aprile 1850, stabilendosi in Vaticano, dando da allora in poi un’ancor più definita impronta pastorale al suo pontificato.

Subito riordinò il Consiglio di Stato, 12 settembre, istituì la Consulta per le Finanze, elargì una nuova e più ampia amnistia.

E’ del 1854 la solenne proclamazione del Dogma dell’Immacolato Concepimento di Maria, 8 dicembre; in questo dogma, oltre che in quello sull’infallibilità papale del 18 luglio 1870, il magistero di papa Mastai raggiunse il suo vertice.

Nel 1854 si adoperò per la ricostruzione della Basilica di San Paolo, distrutta dall’incendio del 15 luglio 1823.

Il 3 aprile 1856 approvò il piano della ferrovia nello Stato pontificio, la cui prima attuazione, Roma-Civitavecchia, venne inaugurata il 24 aprile 1859.

Il Papa visitò i suoi territori, oltre al Granducato di Toscana, dal 4 maggio al 5 settembre 1857, ovunque accolto da popolazioni in tripudio.

Tra il 1855 ed il 1866 inviò missionari tra gli Esquimesi ed i Lapponi del Polo nord, in India, in Birmania, in Cina ed in Giappone, intensificando le relazioni diplomatiche in Europa e nel mondo.

I moti risorgimentali, le annessioni piemontesi che smantellavano lo Stato Pontificio, l’usurpazione delle Legazioni obbligarono Pio IX a porsi sulla difensiva a tutela della libertà e dei diritti inalienabili della Chiesa.

Mantenne sempre, peraltro, il suo sguardo attento al bene delle anime come “suprema legge” del suo e d’ogni altro ministero ecclesiastico.

L’8 dicembre 1864 pubblicò una delle sue più famose encicliche, la “Quanta cura” seguita dal non meno famoso “Syllabus”, per condannare l’insieme degli errori moderni.

Il 7 dicembre 1869 aprì il Concilio Ecumenico Vaticano I, che chiuse il 18 luglio 1870, la prima grande assise della Chiesa che vide la partecipazione, quasi totale, di tutti i Vescovi del mondo.

Uomo di Spirito, tanti sono gli aneddoti curiosi e particolari, a chi gli faceva notare che il Concilio Vaticano I sarebbe costato ogni giorno un numero esorbitante di scudi, Pio IX rispose: “non so se da questo Concilio il Papa uscirà fallibile o infallibile, so però che ne uscirà fallito!”.

Fu davvero un Concilio Ecumenico: 55 Cardinali, 6 Patriarchi, sei Abati Nullius, 24 Abati Generali, 29 Generali di Ordini e Congregazioni religiose, 964 Vescovi.

E’ risaputo che non tutto il materiale preparato venne di fatto discusso ed approvato. I venti di guerra e le condizioni politiche italiane determinarono la chiusura precoce del Concilio il 18 luglio 1870 e due sole furono le Costituzioni dogmatiche approvate: la “Dei Filius” e la “Pastor aeternus”.

La “Dei Filius”, approvata in sessione plenaria il 24 aprile 1870, fu promulgata seduta stante da Pio IX, evidentemente compiaciuto e grato al Signore.

La maggior parte dei destinatari gioì con Pio IX perché il Concilio aveva raggiunto uno dei suoi scopi principali: aveva non solo condannato gli errori, ma a questi aveva contrapposto la verità immutabile della rivelazione divina.

Con la caduta di Roma, il 20 settembre 1870, e la perdita dello Stato, amareggiato ma non domo, Pio IX si chiuse in volontaria prigionia in Vaticano.

Rifiutò la “Legge delle Guarentigie” offerta dal Regno d’Italia come ricompensa per il confiscamento al Papa delle terre del Regno Pontificio.

L’8 maggio 1872 ricevendo in udienza l’umile fraticello Fra Pio Alberto Del Corona, del Convento Domenicano di San Marco di Firenze, che era accompagnato da Elena Pia Bruzzi Bonaguidi, dette il suo imprimatur personale alla nascente Congregazione delle Suore Domenicane dello Spirito Santo.

“Io non posso, disse Papa Pio IX a Fra Del Corona, che approvare e benedire con tutto il cuore questa bella impresa”. E rivolto alla Signora Elena: “Quante siete ?”, “Dodici, replicò la Signora, e tutte pronte !”; e il Papa “Siete un apostolato, andate e fate le apostole”.

Nel 1874 si rendeva necessaria la presenza a San Miniato, in Toscana, di un Vescovo che prendendo le redini di quella Diocesi, per conto della Santa Sede, essendo sempre vivo l’attuale Pastore di quella Comunità, in un momento cosi difficile, con voci diffamatorie sul Pastore di quella Chiesa, sapesse regolarsi con carità e prudenza, imponendosi soprattutto cogli esempi di una santa vita.

Pio IX si ricordò allora dell’umile fraticello domenicano che due anni prima gli si era prostrato davanti chiedendo, con si vivo desiderio, la Benedizione di Dio sull’opera sua e sull’Asilo, e lo nominò Vescovo Coadiutore di San Miniato.

Del Corona, in Udienza Privata chiese a Pio IX di liberarlo “per amor di Dio, per amore della Vergine, di San Pietro, per il bene della Chiesa”.

Ma il Beato Pio IX, vivamente commosso da tale preghiera, posate le mani sul capo del giovane religioso, esclamò: “Per amor di Dio, della Vergine e di San Pietro, per il bene della Chiesa, ed anche per amore di questo povero vecchio andate e state !, ripetendo in latino Ibis et stabis !”.

Papa Mastai, già minato nella sua salute, tenne il suo ultimo discorso ai parroci di Roma il 2 febbraio 1878.

Pochi giorni dopo, esattamente il 7, a 85 anni, spirò piamente.

Quando Pio IX morì l’accompagnarono alla tomba non solo l’odio bieco ed astioso dell’anticlericalismo piazzaiolo, ma anche e soprattutto una fama di santità, diffusissima e al di sopra di ogni sospetto.

“E’ morto un santo”, fu il grido che attraversò l’orbe cattolico; e non mancarono riconoscimenti in tal senso anche da parte acattolica.

Don Bosco, che gli era stato vicino e lo conosceva a fondo, pronosticò subito la gloria degli altari.

Dopo un esame minuzioso e lungo, durato quasi un secolo, la Chiesa nel 2000 sciolse ogni riserva, proclamandolo Beato.

Ufficialmente la Causa di Beatificazione ebbe inizio nel 1907, per terminare nel 1999 con la lettura del decreto d’approvazione del miracolo attribuito all’intercessione del Ven. Servo di Dio Papa Pio IX.

In seguito alla sua beatificazione, ora è aperta, l’ultima, quella della canonizzazione, che gli darà il titolo di Santo.

Al di fuori dell’ufficialità, il Terzo Ordine Francescano di Vienna, 1’8 febbraio 1878, ad appena 24 ore dalla morte del Pontefice, espresse l’augurio che “il Padre di tutta la cristianità potesse esser beatificato senz’alcun indugio”. Tale era anche l’augurio di tutto l’episcopato austriaco, come risulta da lettere inviate a Roma uno o due giorni dopo il luttuoso 7 febbraio.

In forma canonicamente corretta ed ufficiale, la prima vera istanza di beatificazione fu quella dell’episcopato veneto, del 24 maggio 1878, cioè ad appena quattro mesi dalla morte di Pio IX. Tre anni dopo, nel 1907, ebbe inizio il vero processo informativo, il cui primo postulatore fu Mons. Antonio Cani.

Dal 1907 al 1922 vennero ascoltati 83 testi, mentre dal 1908 al 1915 a Senigallia fu celebrato un processo rogatoriale con l’escussione di altri 16 testi.

Altre rogatorie si tennero, nel 1916 a Spoleto, che arricchì la causa di altri 24 testi, ad Imola, dal 1908 al 1916, con le testimonianze di altri 29 testi, e a Napoli, dal 1907 al 1913, con la testimonianza di ben 91 testi.

Nel complesso si trattò di 243 testimonianze “de visu vel de auditu a videntibus”, tutte cioè di persone che avevano avuto rapporti col Servo di Dio o conservavano il ricordo di testimoni diretti, rilasciate da ecclesiastici e da non pochi laici, sull’attendibilità dei quali nessuna ombra è possibile sollevare.

L’enorme materiale raccolto confluì quindi in una ponderosa “positio”: ben 12 grossissimi volumi.

Nel 1952 il patrono della causa, Mons. Giuseppe Stella, ne estrasse il “Summarium”: 1159 pagine che, esaminate in ogni loro particolare, portarono, il 7 dicembre 1954, al decreto per 1’introduzione della causa, cioè per la fase apostolica del processo.

Questa fu celebrata dal 1955 al 1956 con 1’escussione d’altri 19 testi sulle virtù in grado eroico e sui miracoli di Papa Mastai Ferretti.

Il postulatore d’allora, Mons. Alberto Canestri, pubblicò un ragguaglio di ben 133 miracoli attribuiti all’intercessione del Servo di Dio.

I1 25 ottobre 1956 ci fu un altro dei previsti adempimenti: 1’esumazione e il riconoscimento della salma. Con manifesta gioia dei presenti, il venerato corpo fu trovato intatto ed il fatto fu rilevato anche dai rappresentanti della stampa li presenti. Il 23 novembre le sacre spoglie vennero nuovamente ricomposte nella tomba e la causa riprese il suo corso.

Tre sedute (o congregazioni) dovevano essere dedicate all’esame delle virtù in grado eroico: l’antepreparatoria, la preparatoria e la generale. La prima si tenne il 2 ottobre 1962; la seconda il 28 maggio 1963; la terza tardò a riunirsi.

Morto nel 1971 Mons. Canestri, il 31 maggio gli subentrò nell’incarico di postulatore Mons. Antonio Piolanti, già Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense. La causa ne ebbe subito un nuovo impulso e nuova vitalità.

il 6 novembre 1973 quattro Cardinali, Pietro Parente, Sergio Guerri, Umberto Mozzoni e Pietro Palazzini, inoltrarono una supplica a Papa Paolo VI perché disponesse la ripresa della causa.

Il promotore Generale della Fede P. Pérez Femandez, sollecitato ancora dai Cardinali Palazzini e Parente, il 15 aprile del 1974, fece conoscere le 13 obiezioni emerse durante le sedute antepreparatoria e preparatoria.

La postulazione nominò allora un nuovo Patrono nella persona dello Svizzero Avv. Carlo Snider il quale, il 7 ottobre 1984, presentò una risposta esauriente ed ineccepibile, anche sul piano metodologico, ad ognuna delle 13 obiezioni.

Poté aver luogo allora la terza congregazione, quella generale, che 1’11 dicembre 1984 si pronunciò affermativamente sul quesito: “Se consti che il Servo di Dio Giovanni Maria Mastai Ferretti, Papa Pio IX, abbia esercitato in grado eroico le virtù teologali della Fede, della Speranza e della Carità verso Dio e verso il prossimo; le virtù cardinali della Prudenza, della Giustizia, della Temperanza e della Fortezza; nonché le virtù con esse collegate”.

Avutane risposta affermativa, il Santo Padre Giovanni Paolo II ordinò allora il Decreto sull’Eroicità delle Virtù che, firmato dal Cardinale Palazzini, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, e da Mons. Traiano Crisan, Segretario, fu reso di pubblica ragione il 6 luglio 1985.

Da quel momento il Servo di Dio Pio IX era di fatto e di diritto insignito del titolo di Venerabile.

Non era ancora, però, Beato. Le cose, tuttavia, se pur lentamente s’avviarono verso l’epilogo da tutti sperato.

I1 15 gennaio 1986 la Consulta medica della Congregazione per le Cause dei Santi attestò l’inspiegabilità naturale e scientifica della guarigione di Sr. Marie Thérèse de St.Paul, carmelitana di Nantes, la quale si dichiarava miracolosamente, cioè d`improvviso, completamente, senza ricadute né uso di farmaci, guarita da grave malattia ossea.

Quando tutto pareva ormai pronto, un nuovo sussulto di scrupolosità portò alla costituzione, nel 1987, d’una nuova speciale commissione di 7 membri, che avrebbero dovuto pronunziarsi sull’opportunità della beatificazione.

Al termine della quarta seduta, la Commissione passò alla votazione: 5 membri di essa furono per il si, uno per il si con riserva ed uno solo nettamente negativo.

Bastò questo per bloccare di nuovo, se pur momentaneamente, la felice conclusione d’un iter quasi centenario.

Solo il 21 dicembre 1999 Papa Giovanni Paolo II promulgò il Decreto sul Miracolo di cui sopra e, successivamente, stabilì il giorno tanto atteso della Beatificazione: il 3 settembre del 2000, 1’anno del Grande Giubileo.

Il Senatore Giovanni Spadolini, eminente uomo politico, statista e storico di non piccolo spessore che ricorreva spesso all’aggettivo “laico” per definirsi estraneo a qualunque posizione confessionale, riconobbe che “Pio IX mostrava di comprendere che una rinascita cattolica sarebbe partita soltanto da Roma e che solo Roma, sia pure la Roma ideale del magistero vaticano, poteva assicurare l’unità di tutte le falangi cattoliche inquiete, divise e ondeggianti, poteva scongiurare tutte quelle molteplici tendenze economiche, geografiche, politiche che favorivano gli scismi, che guardavano alle chiese nazionali, che puntavano verso la riduzione del cattolicesimo ad una cappellania degli Stati“. E scrisse ancora: “Il merito storico di Pio IX fu quello d’aver compreso che la causa del Papato poteva esser salvata sul piano universalistico della Fede e che nessuna combinazione diplomatica sarebbe riuscita ad evitare il particolarismo degli Stati, a scongiurare il trionfo delle nazionalità, a prevenire il successivo definirsi e differenziarsi dei blocchi”.

E’ questo un giudizio che ribalta, nonostante la non familiarità del “laico” Spadolini con la proprietà del linguaggio “cattolico”, i giudizi d’inettitudine politica troppo spesso formulati contro Pio IX.

Il grande politico e storico dell’epoca moderna seppe, come non molti altri, penetrare a fondo nell’animo di Papa Mastai per trarne motivi d’ammirazione e di valutazioni obiettive e serene. Capì lo stretto legame tra politica e Fede che caratterizzò il pensiero e l’azione di Pio IX; e capi pure che qualunque fosse la scelta politica da compiere, Egli non avrebbe mai potuto discostarsi con essa e per essa dall’universalismo della Fede.

La visione universalistica di Pio IX è oggi il titolo dell’azione pastorale e culturale della Chiesa. Anche per questo la Chiesa celebra in Lui il servo fedele che le apri le strade del futuro.

Martedì 4 aprile 2000, nella Cripta della stupenda Basilica romanica di S. Lorenzo fuori le Mura, in Roma, da poco riportata al suo originario splendore, si effettuò il pio adempimento del rito che precede ogni beatificazione e canonizzazione: la Ricognizione Mortale dei Resti mortali del Venerabile Servo di Dio Pio IX.

Lì, infatti, il Papa dell’Immacolata e del Concilio Vaticano I aveva deciso d’esser sepolto, per rimanere sempre accanto ai suoi figli sino al giorno della risurrezione finale.

Alle ore 10,15, dopo una breve preghiera e la lettura degli atti in base ai quali si poteva procedere alla ricognizione iniziò il rito.

La bara, in tutto corrispondente ai dati descritti nel rogito del 1956, fu fatta estrarre dal loculo in cui giaceva e, quindi, venne processionalmente portata in una sala interna del Convento, riservata dai Padri Cappuccini per le operazioni del caso.

Il Dr. Comm. Nazareno Gabrielli, del Gabinetto ricerche scientifiche dei Musei Vaticani, dispose l’apertura della cassa funebre, consistente in una robusta ricopertura di rame a protezione della vera cassa di legno. Niente di particolarmente pregiato; il tutto, anzi, rivelò la caratteristica della semplicità, così cara a Pio IX.

Ad un tratto la commossa attesa dei presenti esplose in un canto liturgico: tolti i sigilli e sollevato il coperchio, la Venerata Salma apparve, serenamente composta e perfettamente conservata. Così come era stata riscontrata anche nella precedente ricognizione del 1956.

Il Postulatore prese in custodia le trentadue monete di bronzo che testimoniano il più lungo pontificato della storia, la croce pettorale e l’anello in non perfetto stato di conservazione, perché, riportato il tutto al suo primo splendore, potesse essere reinserito nella nuova cassa sepolcrale.

Ogni fase della complessa ricognizione venne ovviamente fotografata per l’opportuna documentazione.

Nei giorni successivi, a varie riprese, gl’illustri periti sopra menzionati provvidero alla pulizia generale, mediante trattamento chimico, della Salma che, rivestita di nuovi indumenti a sostituzione dei precedenti che Pio XII aveva messo a disposizione nel 1956, venne poi deposta, 2 giugno 2000, in una ammirevole urna di cristallo e riportata nella cripta di San Lorenzo, in posizione più consona alla venerazione dei fedeli.

LE ENCICLICHE DI PIO IX

  1. Qui pluribus – 1846
  2. Nei giorni – 1846
  3. Praedecessores Nostros – 1847
  4. Ubi primum/1 – 1847
  5. Romani e quanti – 1848
  6. Nelle istituzioni -1848
  7. Non semel – 1848
  8. Da questa pacifica – 1849
  9. Ubi primum/2 – 1849
  10. La serie – 1849
  11. Quibus, quantisque – 1849
  12. Noscitis et Nobiscum – 1849
  13. Si semper antea – 1850
  14. Exultavit cor nostrum – 1851
  15. Ex aliis nostris – 1851
  16. Nemo certe ignorat – 1852
  17. Probe noscitis – 1852
  18. Inter multiplices – 1853
  19. Neminem vestrum – 1854
  20. Optime noscitis /1 – 1854
  21. Apostolieae nostrae – 1854
  22. Inter graves – 1854
  23. Ineffabilis Deus – 1854
  24. Singulari quadam – 1854
  25. Optime noscitis /2 – 1855
  26. Cum saepe – 1855
  27. Singulari quidem – 1856
  28. Cum nuper – 1858
  29. Amantissimi Redemptoris – 1858
  30. Cum Sancta Mater – 1859
  31. Qui nuper – 1859
  32. Ad gravissimum – 1859
  33. Maximo animi – 1859
  34. Nullis certe – 1860
  35. Cum catholica Ecclesia – 1860
  36. Novos et ante – 1860
  37. Multis gravibusque – 1860
  38. Iamdum cernimus – 1861
  39. Amantissimus humani – 1862
  40. Maxima quidem – 1862
  41. Quanto conficiamur – 1863
  42. Incredibili afflictamur – 1863
  43. Tuas libenter – 1863
  44. Multis gravissimis – 1864
  45. Ubi Urbaniano – 1864
  46. Maximae quidem – 1864
  47. Quanta cura – Syllabus – 1864
  48. Multiplices inter /1- 1865
  49. Meridionali Americae – 1865
  50. Levate – 1867
  51. Ex quo infensissimi – 1867
  52. Aeterni Patris – 1868
  53. Arcano divinae – 1868
  54. Iam vos omnes – 1868
  55. Religiosas regularium – 1870
  56. Non sine gravissimo – 1870
  57. Multiplices inter /2 – 1870
  58. Apostolici ministerii – 1870
  59. Dei Filius – 1870
  60. Quo impensiore – 1870
  61. Pastor aeternus – 1870
  62. Respicientes ea – 1870
  63. Ecclesia dei – 1871
  64. Ubi nos – 1871
  65. Beneficia Dei – 1871
  66. Saepe, Venerabilis – 1871
  67. Ordinem vestrum – 1871
  68. Costretti nelle – 1872
  69. Quartus supre – 1873
  70. Etsi multa – 1873
  71. In magnis illis – 1873
  72. Vix dum a nobis – 1874
  73. Omnenem sollicitudinem – 1874
  74. Gravibus ecclesiae – 1874
  75. Quod nunquam – 1875
  76. Graves ac diuturnae – 1875
  77. Quae Patriarchatu – 1875
  78. Dives in misericordia – 1877

Le note storiche e le foto sono tratte dal sito ufficiale su Papa Pio IX della Diocesi di Senigallia che gentilmente ha messo a disposizione il presente materiale in occasione della mostra.

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