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L’Arno, da Falterona a Pisa, attraversa la pianura fiorentina da est ad ovest, scorrendo in un letto che ha subito nei millenni poche variazioni.
Nell’epoca romana l’Arno era navigabile dalla foce sino alla confluenza del torrente Affrico, a monte di Firenze.
Che lo fosse ancora nel IX secolo lo dimostra l’incursione dei pirati normanni, che poco dopo l’anno 825 risalirono il fiume sui loro snelli vascelli vichinghi e, non potendo entrare in Firenze a causa delle mura carolinge ben difese dagli arcieri, andarono a saccheggiare indisturbati l’antico palazzo vescovile di Fiesole, situato fuori delle mura urbane, là dove oggi sorge la Badia Fiesolana.
Nel novembre del 1966 il preludio della catastrofe fu un fitto tambureggiar di pioggia, che cadeva insistente da tre giorni, facendo ingrossare notevolmente il livello dell’Arno.
Nel pomeriggio del 3, vigilia della festa nazionale dedicata alle Forze Armate, una breve interruzione fece sperare nella fine dell’importuno acquazzone, permettendo così d’imbandierare i palazzi di piazza della Signoria e le vie del centro storico.
Ma la speranza fu interrotta poche ore dopo, quando, sul far della sera ricominciò a piovere e il livello del fiume crebbe ancora.
Verso la mezzanotte le guardie notturne sul Ponte Vecchio, visto che l’acqua era salita a breve distanza dalle arcate, avvertirono telefonicamente i proprietari delle oreficerie, perché, come riportano le cronache del tempo, “temevano un disastro e non volevano assumersi responsabilità”.
Le segnalazioni rimbalzarono successivamente in Questura, in Prefettura, fino ad arrivare in tarda notte al telefono del Sindaco Bargellini, che stava dormendo nella sua abitazione, e che in un primo momento pensò a una disgrazia per uno dei suoi figli.
Poco dopo la mezzanotte, la piena della Sieve destò gli abitanti della parte bassa di Pontassieve, costringendoli a rifugiarsi nei piani superiori della casa, o addirittura sui tetti. Lo stesso accadde poco dopo agli abitanti delle Sieci.
Nel Casentino, a Croce di Memmenano, fra Ponte a Poppi e Bibbiena, l’Arno straripa verso le tre del mattino, mentre nello stesso momento la piena della Sieve invade le abitazioni del Varlungo, alla periferia di Firenze.
L’allarme è giunto anche nella redazione de “La Nazione”. Un redattore si precipita, vede, torna di volata in sede e fa inserire il “pezzo” d’attualità. Così alle cinque il quotidiano è in edicola con la locandina che annuncia, a caratteri cubitali, “L’Arno straripa a Firenze”.
Alle quattro di mattina la piena ha coperto le arcate laterali del Ponte Vecchio.
Prima delle sei l’Amo supera gli argini alla Casaccia a Bellariva e comincia lentamente a defluire verso il centro.
Quasi contemporaneamente l’acqua invade il quartiere di Gavinana, e successivamente, con sempre maggiore velocità ed impeto, nelle zone di San Salvi e del Bisarno.
Alle 7,25 la piena cresce a dismisura, sopravanza le spallette, copre i piani stradali dei ponti, primo quello di San Niccolò, e incomincia la tragedia per il cuore della città.
In tutta la città, fatta eccezione per i quartieri situati verso le colline, si abbatte d’improvviso un mare di fango e nafta fuoriuscita dalle cantine delle abitazioni alluvionate.
Tutti i ponti, a differenza delle alluvioni dei secoli precedenti, rimasero in piedi. Solo Ponte Vecchio riportò alcuni danni alle botteghe degli orafi.
Su Firenze si rovesciano più di 650mila tonnellate di fango spinte da incalcolabili masse d’acqua alla velocità di sessanta-settanta chilometri all’ora.
La punta massima di altezza raggiunta dall’acqua dal piano stradale: 5 metri e 20.
La mattina del 5 novembre si iniziano a contare i danni.
Alla fine un bollettino comunale redatto il 1 marzo 1967 segnala: “700 piazze e strade alluvionate, lungo 30.000,000 metri quadrati di superficie, 50.000.000 metri cubi di acqua e nafta, 650.000 tonnellate di fango, 3 case totalmente crollate, 43 parzialmente, 190 puntellate perché pericolanti (da tenere presente che la maggior parte degli stabili comprende numerosi quartieri di abitazione), 13.943 abitazioni devastate (con altrettante famiglie) per un totale di 43.097 persone, 62 scuole comunali alluvionate, 600 aziende industriali (quasi tutte ripristinate) 9.752 esercizi commerciali (comprese 128 gallerie antiquarie), 8.584 botteghe artigiane, 11.688 quintali di alimentari vegetali distrutti, 7.583 quintali di alimentari animali, 662 grossi capi di animali morti, 1.080 piccoli, 75 miliardi di lire (attenzione che il dato è riferito al valore delle lire nel 1966, ndA) di perdite registrate nel settore industriale, 85 miliardi in quello commerciale, 35 miliardi in quello artigiano; la ricettività alberghiera è stata riattivata all’85%. Nei danni sopra riportati non sono compresi quelli subiti dal patrimonio artistico”.
Una quantità di danni senza precedenti!
Franco Mariani
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