Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone
Questo il testo integrale dell’omelia del Vescovo di Fiesole, Mons. Stefano Manetti, che quest’anno ha presieduto, nella Basilica di Santa Croce, la solenne Santa Messa in ricordo delle Vittime dell’Alluvione del 4 novembre 1966, alla presenza delle massime autorità civili e militari, organizzate annualmente, dal 1993, dall’Associazione Firenze Promuove, e da 10 anni assieme alla Presidenza del Consiglio Comunale di Firenze.
“Cedigli il posto!” (Lc 14,9), la Parola ascoltata ci arriva dritta con questo monito, lapidario, telegrafico, forte e diretto: “Cedigli il posto”. Viene detto all’invitato della parabola, che si era messo al primo posto per una personale ambizione ma senza che alcuno glielo avesse assegnato. Si coglie così un momento decisivo di quanto avviene nell’animo umano, cedere all’ambizione di prevalere sugli altri, di mettere il proprio “io” al centro, oppure cedere il posto, che ha in un primo momento il sapore dell’umiliazione, ma il Signore ne svela subito la portata benefica: chi si umilia sarà esaltato mentre chiunque si esalta sarà umiliato.
Non umiliazione ma esaltazione.
Tra le due eventualità che l’invitato della parabola ha davanti a sé, come ciascuno di noi di fronte alla realtà sociale: l’encomio pubblico oppure la vergogna di lasciare il posto, è decisiva la percezione che ognuno ha di sé stesso. È per essa che ti poni in un certo modo nei confronti degli altri: prevalere su di essi o metterti al servizio del bene del tuo prossimo. E qui arriviamo al cuore di questa celebrazione: la storia ci insegna chiaramente che la giusta percezione di sé non si può avere se non ponendo il proprio “io” nella cornice del noi: non potrò avere la vera percezione di me se non considerandomi in mezzo agli altri e in favore degli altri.
Ce lo ha insegnato l’alluvione del 66: insieme alla tragedia immane, le acque vorticose non hanno travolto soltanto le strade e i monumenti, e stravolto la vita di che perse il lavoro, la casa e, purtroppo, un familiare; i vortici dell’Arno travolsero anche gli animi muovendoli in una gigantesca ondata di solidarietà che, insieme alla irriducibile ironia fiorentina, fornì l’impressionante quantità di energia che rese possibile il superamento del trauma e la ricostruzione. Tra le acque limacciose si approfondirono i rapporti umani, si scoprirono in ciascuno nuove risorse morali, fiorirono esempi di generosità, di altruismo, di abnegazione, si scoprirono i lati buoni che ogni persona porta comunque in sé, si superarono barriere psicologiche.
Potremmo stigmatizzare tutto questo con gli episodi più ad effetto che solitamente vengono ricordati: per esempio l’ospitalità che gli abitanti di via Ghibellina offrirono generosamente ai carcerati delle Murate o l’eroico salvataggio di alcune anziane suore calate dalla finestra nel convento di S. Piero a Ponti, operato dai bagnini della Versilia, accorsi con i loro gommoni e patini.
Chi si umilia, cioè chi si percepisce in favore degli altri, sarà esaltato, potrà offrire al bene comune la propria umanità migliore, generatrice di vita sociale buona. Simbolicamente si può ricordare l’apparizione dei primi germi di quella che è diventata la protezione civile.
E qui si colloca per questo anno l’altra parabola quella raccontata da Lina Maggi, figlia della prima vittima dell’alluvione, Mario Maggi.
Raccontava, fino ad oggi, Lina: Mio padre aveva 44 anni e lavorava con un’impresa edile a Pratolino, dovevano rientrare in Casentino la sera del 3, ma vista l’impetuosità delle piogge rimandarono il rientro. Non so molto di come siano andate le cose perché mia madre con quattro figli piccoli, senza telefono, senza patente auto e a 70 km di distanza ha saputo quello che le hanno raccontato. (…) Quello che ci hanno raccontato è che mio padre è partito la mattina del venerdì da Pratolino con un collega con il camion, e che lungo la Via Bolognese c’era tanto fango per una frana e il camion ha perso il controllo e ha cappottato sottostrada; pare che l’autista sia rimasto nella cabina mentre il mio babbo veniva sbalzato fuori. Alcuni giorni dopo pare che su un quotidiano ci fosse la notizia della morte di un operaio in Via Bolognese. (…) Quando il giorno dopo riuscirono a sollevare il mezzo, sotto di esso non trovarono nessun corpo. Quindi dove finì il corpo? (…) I documenti erano sul camion, quindi per giorni l’autista ricoverato in ospedale chiedeva dell’amico e alcuni parenti lo cercarono in tutti gli ospedali senza mai riuscire a trovarlo. Poi la sera della domenica si è cominciato a cercare tra i morti, e il mio babbo è stato ritrovato nell’obitorio del S. Giovanni di Dio (allora in zona Borgognissanti NdA) tra i morti senza nome(…) e il suo nome non era stato inserito tra le vittime. Lina si è rivolta all’Associazione Firenze Promuove e al suo presidente e storico dell’alluvione, il giornalista Franco Mariani, che con grande impegno si è occupato della cosa, sostenuta, Lina, fortemente dal suo Sindaco, Antonio Fani, fino al raggiungimento del decreto del ministero dell’interno che così recita:
Maggi Mario, nato il 25/07/1922 a Castel S. Niccolò (AR) e ivi residente – Nelle prime ore del 4 novembre il Maggi, dipendente di una ditta edile che lavorava a Pratolino, perdeva la vita in un incidente stradale causato da una frana mentre, a bordo di un camion, assieme ad un collega percorreva la via Bolognese nei pressi del torrente Mugnone, anch’esso esondato. Sbalzato fuori dal mezzo il Maggi veniva travolto e trascinato via dal fango. Il suo corpo fu identificato dopo 4 giorni dai parenti dopo che era stato registrato senza nome all’obitorio in quanto giunto completamente nudo, spogliato dalla furia dell’acqua.
“Cedigli il posto!” a chi? Agli ultimi, come ci insegna Papa Francesco.
“Cedigli il posto!” a chi? Agli ultimi, come instancabilmente ci insegna Papa Francesco. Paradossalmente proprio nella stessa data di 57 anni fa, si levano in terra toscana le stesse grida dolorose di chi ha perso casa e beni, tante persone, tante famiglie precipitate improvvisamente nell’indigenza alle quali ci facciamo vicini con la volontà e la decisione di porli al centro per una questione di giustizia e anche di convenienza, per dire così, perché nel reintegrare chi ha perso tutto nelle condizioni in cui si trovava prima della tragedia, ne trae beneficio tutta la comunità. La storia vissuta 57 anni fa ce lo ha insegnato: dedicarsi con tutte le energie e senso di responsabilità a chi è diventato povero, fa scaturire a favore di tutti risorse inaspettate. “Cedigli il posto”: e dalle acque limacciose emergeranno ancora nuove energie a fecondare la società e renderla più bella, unita e luminosa.
You must be logged in to post a comment Login